giovedì 6 maggio 2010

Il Bullismo, un fenomeno in crescita.
Piero Di Giorgi
Negli ultimi anni, sono molto aumentati gli episodi di bullismo e di conseguenza si sono intensificati anche gli studi sul fenomeno, che, in Italia, sono cominciati soltanto nel 1995. Ma cos’è il Bullismo?
Parola dall’etimologia incerta, probabilmente di derivazione regionale. Indica le prepotenze tra ragazzi a scuola; si tratta di un tipo di comportamento aggressivo caratterizzato dall’intenzione di arrecare un danno all’altro, da un carattere di continuità nel tempo e da una relazione asimmetrica tra il bullo e la vittima, la quale, di solito, risulta un soggetto debole e spesso incapace di difendersi.
All’interno del bullismo scolastico si può fare rientrare, a mio avviso, anche quello delle molestie sessuali. La molestia è espressione di una manifestazione di atteggiamenti fondamentalmente ostili verso le donne. L’idea del maschio come dominante ed aggressivo è centrale nella comunicazione interpersonale e la molestia può essere agita come un fatto non consapevolmente ostile, ma come un modo di conformarsi ad uno stereotipo di ruolo maschile.
Gli studi sul bullismo hanno evidenziato che il comportamento aggressivo è più frequente nella scuola elementare e diminuisce nella scuola media e con l’adolescenza, continuando, tuttavia, a persistere la violenza dei ragazzi che, nelle età precedenti, avevano manifestato un livello alto di aggressività.
Un’altra caratteristica che è stata evidenziata è che gli episodi di bullismo avvengono, nella maggior parte dei casi, alla presenza dei coetanei. I componenti del gruppo possono ricoprire ruoli diversi: agire insieme al bullo, essere suoi sostenitori, semplici osservatori e raramente intervenienti per fermare le prepotenze. In sostanza la dominanza del bullo sembra essere rafforzata dal supporto dei sostenitori, dalla deferenza di coloro che hanno paura e dalla mancanza di opposizione della c.d. maggioranza silenziosa.
E’ importante sapere che il bullismo non è un male incurabile. Ma, prima di vedere come è possibile intervenire, vorrei brevemente soffermarmi ad analizzare le cause del bullismo, i meccanismi psicologici che determinano certi atteggiamenti di prepotenza e sopraffazione. Gli studi psicologici hanno ormai rifiutato ipotesi interpretative di tipo causale-lineare a favore di modelli probalistici e multifattoriali. Si ha ragione di ritenere che certamente intervengono, in modo sistemico, caratteristiche di personalità, delle relazioni familiari e della dinamica del gruppo classe.
E’ un fenomeno che riguarda quasi in maniera esclusiva i maschi, ma vi sono casi in crescita in cui c’è un’arancia meccanica al femminile, in rosa. Nei maschi, spesso, l’attacco fisico si manifesta come esibizione di forza, legata all’esigenza di fare colpo sulle ragazze di fronte al pubblico del gruppo. Si tratta, quindi, di copioni stereotipati, che evidenziano difficoltà relazionali, legate alla scarsa elaborazione di competenze sociali più evolute; anche visibilità sociale, in una società dell’apparire. Per coloro che non trovano altri modi per affermare se stessi è un modo per sentirsi riconosciuti sia individualmente che come gruppo. In maggioranza sono ragazzi che provengono da contesti familiari e scolastici che offrono minori occasioni di realizzazione positiva di sé. C’è un’incapacità cognitiva ed emotiva di rendersi conto di ciò che le proprie azioni possono provocare sia a se stessi che agli altri; cioè soggetti che non hanno interiorizzato e strutturato una temporalità organizzata, ma sono centrati soprattutto sul presente, prigionieri dell’immediatezza, dell’impulsività, senza una valutazione degli effetti a medio e lungo termine del loro comportamento. Ma anche una scarsa capacità di decentramento, cioè di mettersi nei panni degli altri e di rappresentarsi le conseguenze delle proprie azioni sui vissuti degli altri. Atteggiamenti riconducibili ad un’insufficienza educativa.
Innanzitutto, il bullismo si caratterizza come un sistema dinamico in cui si determina un accoppiamento strutturale tra vittima e persecutore; bulli e vittime sono accomunati da problemi disadattivi. Le vittime si distinguono soprattutto per una scarsa padronanza emotiva, mentre i bulli sono caratterizzati dal disimpegno morale e in particolare da un meccanismo di deumanizzazione.
Per superare l’inibizione a fare del male agli altri, ad un nostro simile, dobbiamo ricorrere a meccanismi cognitivi ed emotivi che annullano l’umanità dell’altro. Degradiamo l’altro ad una subumanità, ossia lo consideriamo altro da noi, diverso, inferiore per sesso, per razza, per religione, per livello sociale, oppure lo consideriamo barbaro e disumano per la minaccia che da lui proviene e per cui lo collochiamo ad un livello non degno di umanità. Ciò fa sì che la nostra violenza non venga ritenuta riprovevole, perché attuata non nei confronti di un essere umano ma di un essere inferiore, degradato a livello di una cosa. Un meccanismo, cioè, che permette d’infierire sulle vittime senza provare sensi di colpa. Questo meccanismo di autoassoluzione testimonia, peraltro, che questi ragazzi non sono insensibili ai principi morali e a valori sociali. Spesso, per rafforzare l’operazione di disimpegno morale, s’invoca l’obbedienza all’autorità.
Alcune ricerche hanno sottolineato caratteristiche personologiche, come l’aggressività generalizzata, l’impulsività, la scarsa empatia, l’atteggiamento positivo verso la violenza, il comportamento prepotente per quanto riguarda i bulli. Di converso, l’ansia, l’insicurezza, la scarsa autostima caratterizzano le vittime. Bisogna, tuttavia, dire che le caratteristiche personologiche trovano il brodo di coltura negli ambienti di crescita, in cui noi adulti abbiamo le principali responsabilità.
Molti studi hanno messo in luce che, alla base dei comportamenti di bullismo, abbiano un peso gli stili educativi parentali, sia quello autoritario che quello permissivo, postulando la necessità di uno stile educativo autorevole, che contemperi e coniughi affettività e regole, controlli e richieste, fondato sul rispetto e sull’ascolto. Uno stile educativo autorevole promuove le capacità di assumersi responsabilità e di rinegoziare, attraverso il dialogo e il confronto, regole e ruoli. Le regole familiari, insieme all’affettività, svolgono un importante ruolo per uno sviluppo armonico della personalità. In pratica, i diversi stili educativi possono essere fattori di protezione o di rischio.
Altre ricerche hanno messo in luce la dinamica dell’aula scolastica come elemento scatenante di certe dinamiche aggressive. Se il fenomeno è correlato alla dinamica interna del gruppo, l’intervento deve essere mirato a livello di gruppo-classe e di sistema scolastico nel suo complesso, al fine di incidere sulle dinamiche interne del gruppo stesso ma anche sulle componenti interpersonali che sono alla base di condotte riprovevoli e di relazioni negative tra i compagni.
A livello legislativo non esiste alcuna legge che protegge e tutela gli studenti. I programmi ministeriali non prevedono alcun intervento educativo strutturato per formare i ragazzi e le ragazze al rispetto delle persone diverse, per genere, per gruppo etnico o religioso, o sociale.
La scuola, in quanto istituzione educativa, svolge un ruolo primario, poiché essa è, durante l’adolescenza, l’istituzione che più incide sull’elaborazione dell’immagine di sé. Coloro che hanno un buon inserimento scolastico e vivono positivamente l’esperienza dello studio, giudicata utile per la vita e per l’inserimento lavorativo nella società, si riconoscono maggiormente nelle regole sociali. La scuola non può esimersi dal trasmettere una cultura del rispetto e favorire quella maturazione emotiva che sta alla base dei rapporti maturi tra individui, nella consapevolezza dei bisogni e dei diritti dell’altro. Essa dovrebbe, sin dalla fase dell’accoglienza, stabilire una sorta di contratto sociale, richiedendo ai ragazzi il rispetto di precise regole, chiaramente esplicitate e motivate, la cui violazione deve essere seguita da sanzioni adeguate e certe. L’elaborazione di un insieme condiviso di regole, di diritti e di doveri reciproci dovrebbe costituire uno dei compiti prioritari di ogni scuola. Ciò, oltre a contribuire a installare un’educazione alla tolleranza, farebbe compiere ai ragazzi un serio passo verso un’educazione all’etica della responsabilità, antidoto, non solo dei comportamenti devianti ma di tutti i comportamenti a rischio, contribuendo alla crescita di un sé differenziato ed adulto. Soprattutto la scuola superiore rappresenta, per i giovani, un momento critico per il processo di socializzazione ed in cui assumono atteggiamenti nei confronti delle relazioni interpersonali che poi restano stabili.
Nell’ambito dei programmi d’intervento sul bullismo, due esperienze risultano rilevanti: l’esperienza scandinava e quella inglese. Entrambe presuppongono il coinvolgimento attivo della scuola e delle diverse componenti scolastiche: alunni, insegnanti, genitori, personale non-docente.
Si tratta di avviare un processo di consapevolezza nei ragazzi sul problema delle prepotenze e di modificare gli atteggiamenti, costruendo un sistema di regole e di comportamenti contro le prepotenze. La scuola è il luogo per promuovere riflessioni di gruppo, in cui potere sviluppare competenze sociali e comunicative adeguate, darsi degli scopi ed assumersi degli impegni e responsabilità.
I temi su cui orientare la discussione sono: le esperienze personali; le motivazioni verso le prepotenze; che cosa si prova a fare o a subire le prepotenze da altri; le conseguenze del comportamento prepotente per la vittima e per il bullo; l’impatto delle prepotenze sulla famiglia, sulla vittima, sui testimoni, sugli attori della prepotenza, sul clima della scuola; i problemi morali connessi con il ruolo di osservatore delle prepotenze, i modi per fermare o contrastare le prepotenze.
Le ricerche hanno mostrato che la maggiore fiducia nell’insegnante, il livello di comunicazione che migliora progressivamente nelle classi indicano un cambiamento volto a costruire un clima di collaborazione, di rispetto e di convivenza democratica. In definitiva si tratta di attivare risorse individuali, sociali e collettive, al fine di realizzare una reale politica di prevenzione scolastica del bullismo e di ogni fenomeno di violenza, di non-rispetto dell’altro.

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