venerdì 18 dicembre 2009

L’ambiguità di Lombardo e il dilemma del PD.

Piero Di Giorgi

L’ambiguità di Lombardo e il dilemma del PD.

Prima di entrare nello specifico della questione che si dibatte sulla partecipazione dell’opposizione al nuovo governo regionale, voglio partire dalla situazione nazionale, essendo le due interconnesse.

Dopo l’8 settembre 1943, agli italiani si pose una drammatica scelta: seguire Mussolini e il fascismo nella repubblica di Salò, oppure schierarsi per liberare il Paese dalla dittatura e dal nazifascismo.
Lungi da me, volere mettere sullo stesso piano la situazione di oggi con quella di allora. La storia non si ripete e se lo fa, per dirla con Marx, cio avviene una volta come tragedia o un'altra come farsa. Non c'è dubbio, tuttavia, che la situazione del berlusconismo sia un problema drammatico e inquietante, un fenomeno studiato ormai dalla psico-sociologia, che ne rileva l’egolatria, la superfetazione dell’Io, la messa in scena di sé del personaggio e della sua famiglia e delle sue avventure galanti, in un’indistinzione tra pubblico e privato, sul modello dei reality televisivi, le sue battute e le sue provocazioni e gli slogan ripetitivi per penetrare il messaggio secondo il modello pubblicitario e stabilendo un rapporto diretto con l’elettore, trattato come un consumatore, attraverso un rapporto emotivo, passionale e di complicità. Che fa leva su categorie dello spirito come i comunisti, agitando, nel contempo, l’ottimismo e l’alimentazione della paura, dalla quale l’unto del Signore rassicura, riportando ordine e sicurezza. Al di là dei tratti di personalità del premier, la situazione è drammatica, non solo in termini di non soluzione dei problemi drammatici della crisi economica e della disoccupazione, dell'anomalia della sua condizione di conflitto permanente d'interessi, per la caduta di stile, di valori etici, di legalità, solidarietà e quanto altro, che rischiano di corrompere le coscienze, anche delle nuove generazioni, ma soprattutto per la deriva autoritaria e per la rottura di equilibri di poteri posti a fondamento della nostra democrazia e garantiti dalla nostra carta costituzionale, La domanda è: in questa fase, è prioritario mantenere la linea intransigente di chi prefigura un altro Stato, un’altra economia e un altro modello di sviluppo basato su un'altra democrazia politica ed economica della solidarietà, dell'abolizione delle disuguaglianze, che privilegia i beni comuni e che mette il rispetto dei diritti delle persone al primo posto, oppure, senza abbandonare quei principi, anteporre il problema di come liberarsi di Berlusconi prima che il berlusconismo penetri ancora più profondamente nel tessuto sociale, segnando un'epoca di individualismo, egoismo, menefreghismo, assenza di regole ecc. Quest'ultima ipotesi significa, ovviamente, la necessità di creare uno schieramento ampio di tutte le forze che si oppongono a Berlusconi, dalla sinistra c.d. radicale e, passando per il PD, fino a Casini e a Fini, una sorta di opposizione per la democrazia e per la difesa della costituzione, per riportare l'Italia a una condizione di normalità, dalla quale fare ripartire la dialettica destra-sinistra o confronto tra modelli di sviluppo diversi.

Fatta questa lunga premessa generale, venendo alla questione del governo regionale siciliano, è d’uopo ricordare che in Sicilia ha governato da anni, direi da sempre, tranne la breve parentesi del governo Capodicasa, una maggioranza di centro-destra, rappresentativa degli interessi della borghesia, in gran parte paramafiosa o contigua alla mafia, con i conseguenti intrecci tra politica, mafia e affari. Nonostante gli ingenti finanziamenti pervenuti alla nostra Regione, prima dalla Cassa del Mezzogiorno, poi dai governi nazionali e, infine negli ultimi anni, dai fondi strutturali europei, la Sicilia non ha intrapreso mai la via dello sviluppo, né nel campo della scuola e dell'università e di una rinascita culturale, né in quello del mercato del lavoro, di un ammodernamento infrastrutturale e dei servizi. Nelle ultime competizioni elettorali, sia nazionali che regionali, il centro-destra ha stravinto, mentre il fronte variegato dell'opposizione, in assenza di un forte e puntuale progetto alternativo, si è ridotto al lumicino. L'unico progetto serio, incardinato intorno ad "Un'altra storia" e a Rita Borsellino, basato su una pratica politica di partecipazione dal basso, è stato contrastato dal PD, che ha contrapposto, nelle ultime elezioni regionali, all'unica candidatura in grado di potere sconfiggere il centro-destra, quella della Borsellino, la candidatura della Finocchiaro, risultata un fallimento e che ha consegnato la regione al centro-destra, portando alla presidenza Raffaele Lombardo. Oggi, Lombardo, che si è mosso con una certa ambiguità, facendo intravedere, da una parte, la volontà di una qualche azione riformatrice, ma mantenendo, dall'altra, irrisolto il legame con il PDL, ha perso la sua maggioranza e lancia segnali di apertura al PD. Che fare? Nel PD si è aperto un dibattito, che produce lacerazione e mette in discussione gli stessi equilibri nati dalle primarie per l'elezione della dirigenza nazionale e quella regionale, che ha visto approdare alla segreteria regionale l'on.le Giuseppe Lupo, appoggiato in maniera incondizionata da Rita Borsellino. Ora, mentre quest'ultima si oppone fermamente ad ogni ipotesi di coinvolgimento del PD in una nuova maggioranza del governatore Lombardo, Lupo non chiude completamente la porta. La questione, ritengo che meriti una riflessione attenta e non si possa affrontare sulla base di pregiudizi e di rigide posizioni preconcette, in nome di una purezza e di un’incontaminazione da tenere ferma. Bisogna stare ai fatti e guardare concretamente alla situazione reale in termini di prospettiva. L'alternativa è andare alle elezioni, con la certezza di una nuova riaffermazione del centro-destra o inserirsi nelle contraddizioni che attraversa la destra e dare un segnale di svolta e di speranza su obbiettivi ben precisi. Certo, so bene che Raffaele Lombardo è un politico navigato, che ha saputo ben veleggiare prima nella democrazia cristiana e poi nel movimento autonomista, aduso a compromessi e a clientele, ma è anche vero che avrebbe potuto governare con una solida maggioranza senza problemi, se non avesse cercato di gettare un qualche sassolino nello stagno di una Sicilia immobile e caratterizzata da pericolosi legami tra mafia, affari e politica, con una burocrazia compromessa e colma di privilegi e dove è impossibile tentare una qualche riforma, come ha dimostrato il tentativo fatto sulla sanità.

Sono d'accordo con quanto ha scritto Nino Alongi che non si può accettare la richiesta di collaborazione a scatola chiusa. Penso che occorra discutere sulla base di punti fermi e irrinunciabili che segnino chiaramente un programma di riforme, reso visibile alla stragrande maggioranza dei siciliani, essendo pronti a denunciare pubblicamente ogni inadempienza o ritardo. Qualcuno ha evocato l'esperienza del milazzismo del 1959. Ritengo che siano diversi il contesto storico-culturale e anche le emergenze e le modalità con cui debba realizzarsi la collaborazione. Innanzitutto, penso che non si debba trattare di un'operazione verticistica, ma che si debba aprire un vasto dibattito alla base di tutto il popolo della sinistra e di tutte le forze che si oppongono al berlusconismo, in cui si discuta anche su quale programma di riforme fare l'accordo. In secondo luogo, Lombardo deve con chiarezza dichiarare la rottura con il centro-destra anche a livello nazionale e non solo con una parte, facendo chiarezza anche sul c.d. partito del sud, complementare alla Lega Nord, che riduca la questione meridionale ad una contrapposizione rischiosa tra Nord e Sud, indebolendo le fondamenta dell’unità nazionale. Dopo di che, il confronto vero deve avvenire sui contenuti ( Impegno del nuovo governo a non vendere i beni sequestrati alla mafia; una seria politica infrastrutturale, dalle ferrovie alle strade di grande scorrimento e alle autostrade, ai porti, ai problemi del lavoro e dell’ambiente, di un’economia sostenibile e solidale, che privilegi il bene pubblico (acqua, scuola e università e quant'altro emerga dal dibattito e dalla partecipazione dal basso). In sostanza, si tratta di rilanciare la palla per fare esplodere le contraddizioni nel centro-destra. Deve essere il PDL nazionale, a questo punto, a scomunicare e mettere fuori dal partito coloro che collaborano con l'opposizione (i comunisti). Inoltre, occorre ricordare che la Sicilia è un grosso serbatoio di voti del PDL. Mettere in crisi il PDL in Sicilia significa anche mettere una seria ipoteca sulla maggioranza berlusconiana a livello nazionale, in una fase in cui vi è tra le ipotesi anche quella di anticipata chiusura della legislatura. L’apertura di un dibattito dal basso può essere fervida per cominciare a costruire un progetto politico e culturale per la Sicilia, non solo elettorale ma che parta dai diritti sociali e di cittadinanza, che faccia crescere la presa di coscienza sui beni comuni e sulla responsabilità sociale degli enti pubblici e delle imprese.

In conclusione penso che non serva assumersi la responsabilità di fare sciogliere il parlamento siciliano, ma confrontarsi, aprendo un vasto dibattito alla base del popolo delle primarie e su paletti fermi per quanto riguarda eticità, pratica politica e sociale trasparente e partecipata, riforme concertate, anche nei tempi e nelle priorità.

giovedì 15 gennaio 2009

Le disperate condizioni del popolo di Gaza

Le immagini atroci di bambini dilaniati, di vite di civili spezzate, che ci vengono trasmesse dalle TV, specie da quelle estere come la BBC e Al Jazeera, mi sollecitano, oltre all’angoscia per cotanto orrore, alcuni interrogativi. Com’è possibile che crimini orrendi di bambini, di donne, di civili in genere vengano perpetrati nell’indifferenza generale, senza un’indignazione dei popoli del mondo intero? Com’è possibile che i potenti del mondo siano così ipocriti da far finta di mobilitarsi, dopo giorni dall’inizio del massacro e con la relativa lentezza, e non fanno l’unica cosa concreta: richiamare una volta e per tutte e costringere i dirigenti di Israele, con grande determinazione e con la minaccia dell’isolamento, di un vero e proprio cordone sanitario, ad eseguire le numerose risoluzioni dell’ONU, sempre disattese con arroganza? La risposta che, a mio avviso, si può dare è complessa, nel senso che occorra fare riferimento ad una serie di fattori interconnessi. In primo luogo, bisogna ribadire ancora una volta che l’ONU è un organismo-farsa, un acronimo e nulla più, senza contenuti, potere e sovranità. Non è un organismo democratico, eletto dai popoli. E’ uno strumento in mano agli Stati Uniti. In secondo luogo, Israele fa quel che vuole perché sa di potere contare sulla protezione incondizionata degli USA, perché le lobby ebraiche americane finanziano le elezioni dei presidenti degli Stati Uniti e sono potenti plutocrazie e influenti gruppi di pressione. In terzo luogo, gli ebrei che governano Israele sono i sopravvissuti all’olocausto, i quali hanno messo in atto dei meccanismi psicologici di identificazione con l’aggressore nazista ed ora mettono in atto verso i palestinesi gli stessi comportamenti distruttivi e necrofili. Inoltre, come la storia ha mostrato, il passaggio dalle religioni politeiste (più tolleranti, perché ai tanti dei se ne potevano sempre aggiungere degli altri, come avvenne nel pantheon romano nel quale vennero incorporati anche le divinità greche) a quelle monoteiste ha prodotto intolleranza e fondamentalismi, crociate e guerre. E ciò perché ogni fondamentalismo è assolutizzazione della propria verità, chiusura alle ragioni dell’altro, è intolleranza e, perciò, due fondamentalismi entrano in conflitto tra loro, perché ciascuno vuole fare prevalere la propria verità, considerata come l’unica. Ogni fondamentalismo è una vera e propria forza compulsiva verso l’irrazionale. In Medio-oriente si scontrano due fondamentalismi, quello ebraico e quello islamico di Hamas e ciò rende perfino possibile che un moscerino come l’organizzazione fondamentalista di Hamas creda di potere distruggere un polifemo atomico, per di più protetto da tutte le oligarchie economiche, politiche e mediatiche occidentali e non. Per l’insieme dei motivi sopra enucleati, Israele può consentirsi di rispondere, con arroganza, a chiunque, sia pure timidamente, chieda una tregua, che si andrà avanti nell’operazione “piompo fuso”, cioè “piazza pulita”, finché servirà, cioè fino allo sterminio di popolo. Prova ne sia che Israele non vuole testimoni e tiene lontani i giornalisti, i quali neppure protestano. E’ sempre per i motivi di cui sopra che vi sono Paesi i cui dirigenti, che violano diritti umani fondamentali, vengono processati come criminali di guerra, mentre nessuno può condannare Bush come criminale di guerra per le decine di migliaia di morti iracheni, americani, europei, di cui porta la responsabilità in Iraq, così come nessuno oserà imputare come criminali di guerra i capi di Israele. Tuttavia, non credo che una politica così aggressiva e sconsiderata giovi a Israele. Anzi serve soltanto ad alimentare odio e dolore. Ma, quel che è peggio riattizza sentimenti antisemiti profondi, veri, non già quelli che la dirigenza di Israele, nella sua arroganza, attribuisce a chiunque osa criticare alcune sue azioni non proprio corrette.