martedì 11 novembre 2008

Lavoratori a reddito fisso e pensionati


L’assenza di controlli, da parte del governo, nel momento di passaggio dalla lira alla moneta unica europea ha fatto sì che alcuni speculatori hanno determinato, di fatto, l’equivalenza di un euro a mille lire, sicché, facendo l’esempio classico della massaia, una lattuga che costava 500 lire oggi costa almeno 0,50 euro. Questa operazione ha fatto sì che, attraverso un processo a catena, tutti coloro che potevano adeguare il prezzo, recuperare il potere di acquisto e conservare lo stesso tenore di vita, (lavoratori autonomi, professionisti ecc.) non hanno avuto danni. Gli unici che non hanno potuto recuperare il loro potere d’acquisto originario e si sono impoveriti sono stati i lavoratori a reddito fisso e i pensionati (esclusi, ovviamente, i c.d. pensionati d’oro) , le cui retribuzioni sono state, di fatto, dimezzate. Infatti, se prima una famiglia media, con un reddito da 2 a 3 milioni di lire riusciva a sopravvivere, ora con un reddito da 1000 a 1.500 Euro non ce la fa più. Inoltre, le loro retribuzioni, in Italia, secondo l’Eurispes, sono diminuite negli ultimi 4 anni di circa il 25% e sono all’ultimo posto in Europa, senza che i governi di centro-sinistra prima e di centro-destra ora si siano posto il problema del recupero del poter d’acquisto di questi soggetti impoveriti.
Se si aggiunge l’attuale crisi finanziaria e le sue ripercussioni sull’economia reale, l’inflazione annuale, sempre calcolata al ribasso dall’Istat e mai recuperata per intero da quando sono stati aboliti la scala mobile e il fiscal-drag, i rinnovi contrattuali con scadenza sempre più lunga e che si risolvono con accordi consistenti in una manciata di soldi, lo smantellamento progressivo del sistema di protezioni sociali, abbiamo di fronte un quadro sconfortante di depauperamento grave per lavoratori dipendenti e pensionati.
Questa condizione è vissuta da tutti noi con un senso d’impotenza perché ormai i partiti della sinistra storica e i sindacati hanno cessato di rappresentare queste categorie.
Come avevano ben visto Karl Marx, il quale considerava gli impiegati una categoria residuale prevedendone la proletarizzazione, lo stesso Weber, che, distinguendo tra funzionari che occupano posizioni sociali più elevate e a contatto con i detentori del potere e quelli che non esercitano alcuna autorità, che hanno condizioni oggettive più vicine agli operai, Wright Mills, che aveva prefigurato un’unica classe media indifferenziata, frutto della convergenza generale, di impiegati ed operai, a causa di un progressivo processo di proletarizzazione, Serge Mallet, che aveva parlato della progressiva proletarizzazione dei ceti medi, non c’è dubbio che oggi gli impiegati, gli insegnanti sono assimilati alla tradizionale classe operaia sotto la comune denominazione di lavoratori a reddito fisso.
Non c’è dubbio che negli ultimi decenni, sia per la riduzione delle differenze remunerative tra impiegati ed operai e della perdita di prestigio dei primi, sia per le trasformazioni delle mansioni degli uni e degli altri, anche in virtù della maggiore scolarizzazione e dell’automazione tecnologica, le due condizioni sono abbastanza similari. Oggi gli impiegati hanno stipendi miseri e sono frustrati per mancanza di una funzione di effettiva utilità. Il loro lavoro è monotono come quello dell’operaio ed anche lo stipendio è un salario da operaio. Il computer sostituisce molte funzioni prima svolte dall’impiegato, così come l’automazione sostituisce il lavoro manuale dell’operaio. La classe media impiegatizia e gli insegnanti hanno avuto, certamente, una posizione eterogenea, in quanto proletari come condizione economica, e piccolo-borghesi quanto a legami sociali; e tuttavia, ora, la stragrande maggioranza di loro percepisce di essere per status e capacità di spesa più vicina agli operai. Ancora più grave è la condizione dei precari e di tutti coloro che sono stati investiti da processi d’impoverimento, che vivono da anni una situazione di disagio sociale, alle soglie della sopravvivenza. Tutte queste persone hanno visto, in questi ultimi anni, ulteriormente ridotto il loro potere d’acquisto e vivono con rassegnazione la loro condizione.
Inoltre, lavoratori a reddito fisso, precari e pensionati sono i soli, tra l’altro, che pagano le tasse fino all’ultima lira e preventivamente alla fonte e, tramite i quali, i governi fanno quadrare i bilanci, perché è troppo facile prendere i soldi da queste categorie.
Essi rappresentano la maggioranza degli italiani e le modificazioni nella loro condizione economica creano la condizione oggettiva per una loro partecipazione attiva al cambiamento. Uno degli obiettivi unificanti dei lavoratori a reddito fisso deve essere la lotta per una retribuzione adeguata, per difendere il loro potere d’acquisto contro l’inflazione reale, per pagare meno tasse. Neppure i Sindacati sembrano essersi accorti di ciò, anzi pare che diano una mano ai governi, facendo prolungare i contratti dei lavoratori, come è avvenuto recentemente per insegnanti e per il pubblico impiego, che hanno saltato di fatto un contratto. Angeletti, segretario generale della UIL, aveva fatto una proposta sensata, di destinare tutte le entrate recuperate dall’evasione fiscale ai lavoratori a reddito fisso e per aumentare le pensioni, ma nessuno l’ha ripresa e neppure lo stesso proponente mi pare che vi stia facendo una battaglia, anzi Cisl e Uil hanno firmato il contratto per gli statali, scaduto da tempo, per pochi spiccioli.
La situazione è arrivata a un punto tale che s’impone, con urgenza, un movimento di autorganizzazione e di lotta dei lavoratori e dei pensionati, con azioni anche giuridiche tendenti al recupero delle condizioni di acquisto precedenti l’entrata in vigore dell’Euro. E’ importante che questi lavoratori acquisiscano la consapevolezza che la loro condizione dipende dai processi di globalizzazione neoliberista in atto, che determinano spostamento delle risorse dello Stato dal lavoro al capitale e dalla conseguente ideologia dell’inevitabilità ed oggettività di questo processo. Essi rappresentano la maggioranza degli italiani ed è essenziale che prendano in mano il loro destino, che diventino protagonisti per difendere i loro valori ed interessi, la loro dignità di persone e di lavoratori, senza delegarli più agli altri. Propongo di organizzarci e di autodifenderci. Tutti insieme, uniti, siamo la maggioranza e devono per forza sentirci. Spero che questo appello giunga alla maggior parte delle persone interessate attraverso il passa-parola, e-mail e quanto altro e che possano pervenire anche proposte per giungere ad un momento organizzativo nazionale.


mercoledì 1 ottobre 2008

Prima riunione coordinamento regionale "Un'altra Storia"

Intrevento alla riunione del coordinamento regionale di "Un'altra stroria", svoltosi a Caltanissetta il 25 settembre

Credo fortemente in uno strumento quale il nostro, in un momento di grave crisi della politica, che tende ad essere sempre più una professione nel senso weberiano, lontana dai bisogni delle persone, sempre più verticistica ed espropriante fino a togliere ai cittadini la possibilità di scelta dei candidati già decisi dalle oligarchie inamovibili dei partiti. Ormai si assiste ad un’omologazione di comportamenti, pratiche politiche, ricette tra maggioranza ed opposizione, ad un appannamento di valori e di tensione etica, alla mancanza di un progetto di società che si proponga di fuoriuscire dal modello di neoliberismo perverso, responsabile della catastrofe antropologica e ambientale. Anche i partiti di massa si sono trasformati in oligarchie di professionisti della politica. La sovranità è ridotta ad una finzione. La politica non può essere più un privilegio o un lusso per pochi, non può essere una professione, non può essere un luogo per fare carriera, ma richiede il contributo di tutti, è un diritto-dovere di tutti. I partiti sono stati e sono certamente un pilastro fondamentale della democrazia, ma devono rinnovarsi profondamente e sono comunque solo una faccia della democrazia. Essi si devono confrontare con le diverse espressioni della convivenza sociale. (Art.1, 2 (i diritti inviolabili in tutte le formazioni sociali), 18 (diritto di associazione) e 49 ( diritto di associazione in partiti). Il rimedio allo svuotamento della democrazia è l’esercizio della cittadinanza da parte di moltitudini di persone, costruire una democrazia dal basso. La politica è la più nobile delle attività umane, è lo spazio-tempo dedicato alla comunità. La società civile è cresciuta molto negli ultimi due decenni. Sorgono continuamente movimenti, associazioni, gruppi, che esprimono una domanda di partecipazione anche in Italia. E’ urgente la necessità di una rifondazione teorica e pratica dello strumento partitico e del concetto stesso di democrazia, con un’elaborazione teorica e programmatica adeguata ai problemi e ai bisogni delle società industrializzate avanzate. In primo luogo, ritengo, perciò, che occorra operare nella pratica una critica della forma-partito tradizionale e un rifiuto della delega permanente e tendere ad una rifondazione dal basso di una nuova sinistra, evitando sommatorie di sigle e di apparati di partiti esistenti a livello verticistico e a scopi elettorali (vedi PD), ma scavando, invece, nella storia e nei valori della sinistra, aprendo un grande confronto e dibattito unitario alla base. Ciò significa porsi come strumenti di partecipazione nuova, al di fuori dei partiti, senza rifiutarli, ma con l'impegno a rinnovarli, in risposta alla crisi dei canali tradizionali di partecipazione, politica e sociale, ricercando e indicando un modo nuovo di partecipazione politica, attraverso la formazione delle decisioni dal basso. La nuova sinistra non può essere concepita come una semplice operazione cosmetica di fusione e di sommatoria dei partiti esistenti, ma attraverso un rinnovamento di idee, obiettivi, programmi o modi gestire il potere e una pratica sociale che ricrei le condizioni dell'unità nelle lotte e nei luoghi dell'esproprio della partecipazione. Il momento fondante della nostra azione, a mio parere, deve essere questo tentativo di politicizzazione della società civile, di diffusione della politica in tutte le pieghe della società. Sensibilizzare e attivare la società civile significa potenziare la partecipazione dei cittadini e avviare una rifondazione della politica. Soltanto una partecipazione dal basso, un'attivazione della cittadinanza può vincere le resistenze e i privilegi delle burocrazie ed oligarchie partitiche, che hanno ridotto i partiti a luogo della mediazione clientelare e dei baratti elettorali. La politica, dunque, non più come monopolio di coloro che ne fanno una professione, che, per dirla con Weber, vivono di politica e non per la politica, ma riconsegnata ai cittadini. Dalla repubblica dei partiti alll repubblica dei cittadini. La premessa necessaria a ciò è la laicità dell’agire politico, come antidoto agli eccessi ideologici, ai fondamentalismi e all’autoritarismo.La seconda premessa è la necessità di costruire una coscienza ed una consapevolezza collettiva sociale e politica, come premessa fondamentale della democratizzazione della società. Ciò significa essere presenti in ogni ambito sociale, culturale e politico con assunzione di compiti di opposizione, di proposta e di controllo nella vita sociale del Paese, ossia il valore della pratica sociale di massa come risposta alla crisi dei canali di partecipazione politica. La pratica sociale è, infatti, il nucleo fondante e primario della politica, in quanto significa portare la politica alle persone. La pratica sociale come nuovo modo di fare politica, cioè andando all’origine dei rapporti sociali, dove nascono i problemi, i bisogni e si devono trovare le risposte e le soluzioni. L’interlocutore fondamentale deve essere la società che non partecipa, superando il mandato permanente. Attraverso la pratica sociale, si determina una politicizzazione della società civile, che non partecipa, che non lotta e che subisce, facendo leva sui bisogni espressi e inespressi, nei luoghi e in tutte le sedi e occasioni di rapporto sociale, per riportare la politica nei luoghi propri, dai quali, grazie al verticismo e burocratismo dei partiti, è scomparsa, laddove si determinano lo sfruttamento, la repressione individuale e sociale, la persuasione occulta. Dunque, una politica nuova, radicata nei quartieri, nelle città, diventa il luogo privilegiato dell'agire politico e l'alternativa all'astratta statualità e al parlamentarismo filtrato dalle camarille di partito. Ciò comporta anche la necessità di un controllo più diretto delle amministrazioni locali, di una mobilitazione per la gestione democratica del suolo urbano e dei trasporti, della scuola, dell'organizzazione sanitaria e previdenziale; di un'organizzazione dal basso per la conquista di determinati diritti civili. Significa operare per la costruzione di uno Stato diverso, più vicino ai cittadini e in grado di fornire risposte adeguate ai bisogni di questi. L'unica maniera per farsi ascoltare dai partiti di sinistra è, contestarli alla base, davanti ai lavoratori, ai cittadini, operando nella società civile in posizione autonoma, esercitando una funzione di elaborazione teorica, di analisi della società, di sperimentazione politica e di lotta, operando nella realtà della città, dei quartieri, delle fabbriche, delle scuole, delle università, degli ospedali e in ogni struttura intermedia, anche come momento di verifica per una convergenza di tutte le forze disponibili al cambiamento. In altri termini, individuare nella società civile, espropriata di ogni partecipazione politica, il luogo privilegiato di generalizzazione della lotta e di ritorno della politica nel proprio ambito sociale. Si tratta di operare una stretta connessione tra lavoro di analisi, di elaborazione e azione politica concreta e costruire, a partire dalle esperienze locali, i contenuti programmatici e culturali per la nuova società che si deve costruire. Non ideologie prefabbricate, o mutuate da modelli storici precostituiti, ma risposte concrete ai bisogni che nascono dal contesto sociale, secondo le indicazioni che emergono dalle lotte, attorno a valori fondanti di solidarietà, giustizia, uguaglianza, rendendo partecipi e protagoniste le moltitudini di persone della costruzione della nuova società. Nel senso anzidetto, non c’è differenza tra pratica sociale e pratica politica. Anzi la pratica sociale deve diventare il nucleo fondante della politica. A livello locale, la vicinanza alle istituzioni dove si prendono le decisioni e la più diretta conoscenza dei problemi, consentono una partecipazione più consapevole e diretta. Per avviare un processo di cambiamento, per risolvere i problemi di una comunità, occorre ascoltare e coinvolgere moltitudini di persone, recuperare le energie, le idee, le competenze e la creatività di tanti, perché quando le persone sentono di potere avere un peso nelle decisioni, si sentono più coinvolte, escono dall’apatia; si crea fiducia e speranza nel futuro, la democrazia si vivifica. Se non c’è partecipazione spesso è perché non c’è conoscenza dei problemi. Ma è anche vero il contrario. Se non si partecipa, non si conoscono i problemi né si crede nella possibilità di risolverli. E’ necessario fare capire alle persone che devono fare sentire la loro voce, agire con autonomia e consapevolezza per ottenere i loro diritti ed uscire dalla mentalità di chiederli come favori. La pratica partecipativa, ovviamente, evita il clientelismo, la mafia e l’illegalità, perché tutte le decisioni e le scelte sono pubbliche e trasparenti. Ma serve anche a demistificare e a contro informare. Memori della lezione marxiana e gramsciana circa la necessaria dialettica tra struttura e sovrastruttura, un’attenzione forte deve essere portata sulla scuola e sulla formazione. Consapevoli dei processi di manipolazione dell’opinione pubblica, bisogna porsi il problema di un’informazione alternativa all’industria culturale dominante e al monopolio della grande stampa padronale e governativa, dei partiti e della RAI-TV. Certo la partecipazione comporta anche sacrifici, impegnare un tempo della propria vita, ma ne vale la pena. I nostri veri nemici siamo noi stessi che non partecipiamo. Se la politica non la facciamo noi in prima persona, la fanno gli altri e poi non ci possiamo lamentare. Non si cambia in profondità una società senza un lavoro a lungo termine di pedagogia politica, che deve cominciare sin dalla scuola dell’infanzia per continuare nella società.

Piero Di Giorgi



giovedì 17 luglio 2008

Intervento all'Assemblea costituente di "un'Altra Storia"

di piero di giorgi

La maggior parte di coloro che siamo qui, abbiamo sulle spalle, sin dagli anni'60, un bagaglio di esperienza politica e un condensato di illusioni e delusioni, speranza e disincanto.
La crisi della sinistra storica, crisi d'identità, con conseguente smantellamento di ogni ancoraggio valoriale e l'assenza di un progetto di società alternativa, ha portato ad un'omologazione delle forze politiche, anche nei comportamenti morali, alla crisi di rappresentanza e a perdita di contatto con i bisogni reali delle persone, ad un'estensione della biopolitica, con un controllo, in nome della sicurezza, sul corpo e sulla mente delle persone.
La democrazia è ridotta ad una fictio iuris, si è capovolta la scala dei valori. La selezione della classe politica nei partiti avviene alla rovescia, cooptando coloro che hanno un curriculum di disvalori (arrivismo, servilismo, compromessi e non solo) piuttosto che scegliere le persone che hanno dimostrato con la loro storia di praticare valori autentici e coerenza. Persone come Rita Borsellino, che ha dimostrato nei fatti di rifiutare le sirene del potere, di non ambire poltrone (abbondantemente offertele), ma d'interpretare la politica come servizio, raccolgono meno consensi rispetto a chi ha trasformato la politica in pratica clientelare, le persone in clienti e i loro diritti in favori. Perciò, noi siamo qui perché crediamo nel progetto a lungo termine di Rita, un progetto inedito, costruito dal basso, fuori dagli schemi gerarchici della democrazia liberale e della sinistra storica, basata su oligarchie politiche, economiche e medianiche, che dominano sulle persone. Un progetto, invece, che tende ad una democratizzazione della società in tutte le strutture intermedie e in tutti gli ambiti sociali, fondato su una democrazia diffusa, che tende alla coniugazione-interazione di uguaglianza e libertà, giustizia ed equità, diritti civili e sociali.
Una società cambia realmente se cresce una coscienza diffusa di massa, se la stragrande maggioranza delle persone acquista la consapevolezza dei propri diritti e dei propri bisogni reali, senza deleghe permanenti, cioè se tutti capiscono che la politica vera, come è nella sua etimologia, è la cosa più importante perché decide sulla qualità della nostra vita e che essa appartiene a tutti e tutti dobbiamo contribuire a determinarla con la nostra partecipazione. Ciò presuppone che questo movimento che noi andiamo a costituire abbia un progressivo radicamento nel territorio per far crescere un processo di presa di coscienza, trasformando il disagio sociale, la materialità del bisogno, la rabbia indistinta e pulsionale in coscienza politica, in diritto di cittadinanza, in lotta solidale per l'affermazione e la conquista dei propri diritti civili e sociali.
Il dibattito che ho seguito finora, è stato un po' generico, celebrativo, con qualche critica allo stato di cose presenti e solo con qualche cenno al documento politico. A mio modesto avviso, il dibattito per la costituente di un nuovo movimento politico-culturale deve sforzarsi di approfondire i temi della democrazia partecipativa e della sua articolazione, dal locale al nazionale e al globale, mirando anche alla formalizzazione di alcune regole essenziali, dalle modalità di praticare vere elezioni primarie per la scelta dei candidati alle forme di partecipazione alla costruzione del programma, dalle forme di controllo alla revoca dei delegati, dalla rotazione delle cariche all'utilizzo delle competenze e delle energie di ciascuno. Ciò vuol dire, come è nelle intenzioni, avviare un processo diametralmente opposto a quello della nascita del PD, frutto di un processo verticistico e della sommatoria tra oligarchie e burocrazie centrali e periferiche, concretizzandosi in una perpetuazione e riciclaggio, a livello periferico, di tutte le vecchie camarille, al di fuori di un'apertura di un ampio ed esteso dibattito, per definire una nuova elaborazione e un progetto di società con il contributo delle energie e della creatività di milioni di persone. Questo, invece, dovrebbe essere il nostro compito. I limiti di tempo non mi permettono di svolgere più compiutamente i punti del documento politico, che comunque condivido. Mi soffermerò soltanto su un punto che è assente nel documento. Un progetto di costituente di un'associazione politico-culturale non può non porsi come obiettivo centrale un orizzonte euro-mediterraneo, considerato che il 2010, anno previsto dal Patto di Barcellona del 1995, come data d'entrata in vigore di un grande mercato euro-mediterraneo, che coinvolge un miliardo di persone, è ormai alle porte.
So che, dopo la proposta da me fatta all'ultima assemblea della SEM (Sinistra euro-mediterranea, trasformatasi in Cantiere del Mediterraneo) a Lametia Terme e accolta anche da Rita Borsellino e Alfio Foti, nella riunione a Trapani del maggio scorso, Rita e Mimmo Rizzuti, in rappresentanza dell'ex SEM, si sono incontrati a Roma, trovando delle precise convergenze e obiettivi. Occorre lavorare per recuperare la centralità del Mediterraneo, di questo continente liquido, di questo mare che media, per dirla con Fernand Braudel, aperto al dialogo, alla pluralità, specie in un momento in cui anche la Francia di Sarkosy l'ha messo all'ordine del giorno seppure in una vecchia logica eurocentrica e neocoloniale, proprio per fare sentire la nostra proposta di trasformare il Mediterraneo, da luogo di tensioni e di conflitti, in luogo di coperazione economica, basato sul commercio equo e solidale e sullo sviluppo sostenibile, di dialogo e comprensione tra culture diverse, di pace e di garanzia per i diritti umani. La Sicilia, per la sua posizione strategica nel Mediterraneo può e deve assolvere un grande ruolo in tutto questo, anche come premessa per un nuovo modello di sviluppo.

Curriculum


Piero Di Giorgi, nato a Mazara del Vallo l’11/12/1939 ed ivi residente e domiciliato viaTerenzio, 28. Psicologo ed avvocato, specializzato in psicologia clinica dell’età evolutiva. Ha insegnato psicologia dell’età evolutiva presso il corso di laurea in filosofia dell’Università di Roma “La Sapienza” e successivamente ha insegnato Psicologia dello sviluppo, psicologia sociale, psicopedagogia differenziale e storia della psicologia presso l’Università di Palermo. Iscritto all’albo dei giornalisti – elenco pubblicisti - sin dal 1971 prima a Roma e poi a Palermo, è stato ed è direttore di periodici e collabora a varie riviste e a giornali. Ha fondato insieme a Franco Leonori ed altri l’Agenzia di stampa “Adista”, osservatorio privilegiato sul mondo cattolico progressista; Nel 1975, all’epoca dell’unificazione PDIUP-MANIFESTO è stato a rappresentare la componente politica del Pdiup nel Manifesto e redattore dello stesso. Dopo la scissione, seguendo la corrente Foa-Miniati, si è occupato come coordinatore del settore Stato e pubblico impiego in DEMOCRAZIA PROLETARIA, redattore del Quotidiano dei lavoratori e direttore di Classe e burocrazia. Attualmente è commentatore politico della Repubblica Palermo ed è consigliere scientifico dell’Istituto Euro-arabo di studi superiori di Mazara del Vallo. Ha pubblicato: 1 Di Giorgi P., Per una psicologia alternativa. In Qualesocietà 1973, n. 1, pp.63-66; 2 idem , Il bambino e le sue istituzioni. Prefazione di Adriano Ossicini. Coines, Roma 1975; 3 Di Giorgi P., Lutte G. et alii, Scuola alla Magliana. Centro di documentazione di Pistoia, 1977; 4 idem , Introduzione critica allo studio della psicologia dell’età evolutiva. Centro di documentazione Pistoia 1977; 5 idem , La condizione giovanile. Centro di documentazione Pistoia, 1979; 6 Di Giorgi P. , Adolescenza e famiglia. Janua, Roma 1979; 7 Idem , L’adolescenza maschile e femminile nella teoria psicoanalitica. Edizioni Kappa, Roma 1981; 8 Di Giorgi P., Amman Gainotti, La terza infanzia nelle teorie di Freud e di Piaget. Kappa, Roma 1982 9 Di Giorgi P., Il contributo di Marx alla psicologia. Janua, Roma 1983; 10 idem , Giovani e politica: Alcune riflessioni sull’atteggiamento dei giovani verso la politica. In Orientamenti pedagogici , Roma, n. 30 1983; 11 idem , La percezione del tempo come durata in bambini di scuola elementare. Kappa, Roma 1983; 12 idem , L’adolescenza: fase naturale o storico-culturale. In Critica sociologica, Estate 1984; 13 idem , Il metodo biografico in psicologia. In Rivista Libera Università Trapani, anno V, n. 13, luglio 1986; 14 idem , Il rapporto di coppia in giovani del centro-sud. In Rivista Libera Università Trapani. Anno VII, n. 19, luglio 1988; 15 idem , Giovani e politica nella provincia di Trapani. In Rivista Libera Università Trapani. Anno VIII, n. 22, luglio 1989; 16 idem , Giovani e famiglia nel trapanese. In Spiragli, Anno I, n. 4, ott.-dic. 1989; 17 idem , L’ideale dell’Io dell’adolescente. In Esperienze psicopedagogiche. Anno I, n. 2, genn.-marzo 1989; 18 idem , I giovani giudicano la scuola. In Esperienze psicopedagogiche, n.5, ott.-dic. 1989; 19 idem , Stili di vita dei preadolescenti di Mazara del vallo. Ricerca sugli atteggiamenti intrinsecamente mafiosi della vita quotidiana. Ed. Libera Università Trapani, 1990; 20 idem, 21 idem, La dispersione scolastica: Che cosa, come, perché. A cura Osservatorio Prov.le sulla D.S. del Provv. Agli studi di Trapani, 1993; 22 idem, L’educazione interculturale come prevenzione del pregiudizio. In Atti del convegno su L’inserimento nell’ordinamento scolastico, nella formazione e nel lavoro degli immigrati extracomunitari. A cura dell’Istituto regionale Fernando Santi, Ma zara del Vallo 1995; 23 idem, La crisi del ruolo dei genitori. Prefazione di Grazia Attili. Kappa, Roma 1996; 24 idem, Oggetto e soggetto nella scienza. In Le Tre culture. Ed.scolastica italiana, Marsala 1996; 25 idem, L’educazione affettiva a scuola. Prefazione di Marisa Malagoli Togliatti. Kappa, Roma 1997; 26 idem, Una speranza di cambiamento: fede, valori e politica. Prefazione di Raniero La Valle. Kappa, Roma 2001; 27 idem, Il problema della mente. L’infinito e la psicologia. In Apeiron, Quaderni a cura liceo scientifico di Mazara. I, 2001 28 idem, Storia, costume e cultura in Sicilia oggi. In Atti del convegno Psicoanalisi e cultura oggi, a cura di L.Burzotta, in Cosa Freudiana n. 18,19,20-2002; 29 idem, Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa. Franco Angeli, Milano 2004; 30 idem, Persona e qualità della vita nell’era della globalizzazione neoliberista. In Apeiron, Quaderni a cura del liceo scientifico di Mazara del vallo, n. VIII, 2005; 31 idem, Preadolescenti e subcultura mafiosa. Indagine sugli stili di vita 32 idem, Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa. Ed. Franco Angeli, Milano 1975