martedì 11 novembre 2008

Lavoratori a reddito fisso e pensionati


L’assenza di controlli, da parte del governo, nel momento di passaggio dalla lira alla moneta unica europea ha fatto sì che alcuni speculatori hanno determinato, di fatto, l’equivalenza di un euro a mille lire, sicché, facendo l’esempio classico della massaia, una lattuga che costava 500 lire oggi costa almeno 0,50 euro. Questa operazione ha fatto sì che, attraverso un processo a catena, tutti coloro che potevano adeguare il prezzo, recuperare il potere di acquisto e conservare lo stesso tenore di vita, (lavoratori autonomi, professionisti ecc.) non hanno avuto danni. Gli unici che non hanno potuto recuperare il loro potere d’acquisto originario e si sono impoveriti sono stati i lavoratori a reddito fisso e i pensionati (esclusi, ovviamente, i c.d. pensionati d’oro) , le cui retribuzioni sono state, di fatto, dimezzate. Infatti, se prima una famiglia media, con un reddito da 2 a 3 milioni di lire riusciva a sopravvivere, ora con un reddito da 1000 a 1.500 Euro non ce la fa più. Inoltre, le loro retribuzioni, in Italia, secondo l’Eurispes, sono diminuite negli ultimi 4 anni di circa il 25% e sono all’ultimo posto in Europa, senza che i governi di centro-sinistra prima e di centro-destra ora si siano posto il problema del recupero del poter d’acquisto di questi soggetti impoveriti.
Se si aggiunge l’attuale crisi finanziaria e le sue ripercussioni sull’economia reale, l’inflazione annuale, sempre calcolata al ribasso dall’Istat e mai recuperata per intero da quando sono stati aboliti la scala mobile e il fiscal-drag, i rinnovi contrattuali con scadenza sempre più lunga e che si risolvono con accordi consistenti in una manciata di soldi, lo smantellamento progressivo del sistema di protezioni sociali, abbiamo di fronte un quadro sconfortante di depauperamento grave per lavoratori dipendenti e pensionati.
Questa condizione è vissuta da tutti noi con un senso d’impotenza perché ormai i partiti della sinistra storica e i sindacati hanno cessato di rappresentare queste categorie.
Come avevano ben visto Karl Marx, il quale considerava gli impiegati una categoria residuale prevedendone la proletarizzazione, lo stesso Weber, che, distinguendo tra funzionari che occupano posizioni sociali più elevate e a contatto con i detentori del potere e quelli che non esercitano alcuna autorità, che hanno condizioni oggettive più vicine agli operai, Wright Mills, che aveva prefigurato un’unica classe media indifferenziata, frutto della convergenza generale, di impiegati ed operai, a causa di un progressivo processo di proletarizzazione, Serge Mallet, che aveva parlato della progressiva proletarizzazione dei ceti medi, non c’è dubbio che oggi gli impiegati, gli insegnanti sono assimilati alla tradizionale classe operaia sotto la comune denominazione di lavoratori a reddito fisso.
Non c’è dubbio che negli ultimi decenni, sia per la riduzione delle differenze remunerative tra impiegati ed operai e della perdita di prestigio dei primi, sia per le trasformazioni delle mansioni degli uni e degli altri, anche in virtù della maggiore scolarizzazione e dell’automazione tecnologica, le due condizioni sono abbastanza similari. Oggi gli impiegati hanno stipendi miseri e sono frustrati per mancanza di una funzione di effettiva utilità. Il loro lavoro è monotono come quello dell’operaio ed anche lo stipendio è un salario da operaio. Il computer sostituisce molte funzioni prima svolte dall’impiegato, così come l’automazione sostituisce il lavoro manuale dell’operaio. La classe media impiegatizia e gli insegnanti hanno avuto, certamente, una posizione eterogenea, in quanto proletari come condizione economica, e piccolo-borghesi quanto a legami sociali; e tuttavia, ora, la stragrande maggioranza di loro percepisce di essere per status e capacità di spesa più vicina agli operai. Ancora più grave è la condizione dei precari e di tutti coloro che sono stati investiti da processi d’impoverimento, che vivono da anni una situazione di disagio sociale, alle soglie della sopravvivenza. Tutte queste persone hanno visto, in questi ultimi anni, ulteriormente ridotto il loro potere d’acquisto e vivono con rassegnazione la loro condizione.
Inoltre, lavoratori a reddito fisso, precari e pensionati sono i soli, tra l’altro, che pagano le tasse fino all’ultima lira e preventivamente alla fonte e, tramite i quali, i governi fanno quadrare i bilanci, perché è troppo facile prendere i soldi da queste categorie.
Essi rappresentano la maggioranza degli italiani e le modificazioni nella loro condizione economica creano la condizione oggettiva per una loro partecipazione attiva al cambiamento. Uno degli obiettivi unificanti dei lavoratori a reddito fisso deve essere la lotta per una retribuzione adeguata, per difendere il loro potere d’acquisto contro l’inflazione reale, per pagare meno tasse. Neppure i Sindacati sembrano essersi accorti di ciò, anzi pare che diano una mano ai governi, facendo prolungare i contratti dei lavoratori, come è avvenuto recentemente per insegnanti e per il pubblico impiego, che hanno saltato di fatto un contratto. Angeletti, segretario generale della UIL, aveva fatto una proposta sensata, di destinare tutte le entrate recuperate dall’evasione fiscale ai lavoratori a reddito fisso e per aumentare le pensioni, ma nessuno l’ha ripresa e neppure lo stesso proponente mi pare che vi stia facendo una battaglia, anzi Cisl e Uil hanno firmato il contratto per gli statali, scaduto da tempo, per pochi spiccioli.
La situazione è arrivata a un punto tale che s’impone, con urgenza, un movimento di autorganizzazione e di lotta dei lavoratori e dei pensionati, con azioni anche giuridiche tendenti al recupero delle condizioni di acquisto precedenti l’entrata in vigore dell’Euro. E’ importante che questi lavoratori acquisiscano la consapevolezza che la loro condizione dipende dai processi di globalizzazione neoliberista in atto, che determinano spostamento delle risorse dello Stato dal lavoro al capitale e dalla conseguente ideologia dell’inevitabilità ed oggettività di questo processo. Essi rappresentano la maggioranza degli italiani ed è essenziale che prendano in mano il loro destino, che diventino protagonisti per difendere i loro valori ed interessi, la loro dignità di persone e di lavoratori, senza delegarli più agli altri. Propongo di organizzarci e di autodifenderci. Tutti insieme, uniti, siamo la maggioranza e devono per forza sentirci. Spero che questo appello giunga alla maggior parte delle persone interessate attraverso il passa-parola, e-mail e quanto altro e che possano pervenire anche proposte per giungere ad un momento organizzativo nazionale.