mercoledì 1 ottobre 2008

Prima riunione coordinamento regionale "Un'altra Storia"

Intrevento alla riunione del coordinamento regionale di "Un'altra stroria", svoltosi a Caltanissetta il 25 settembre

Credo fortemente in uno strumento quale il nostro, in un momento di grave crisi della politica, che tende ad essere sempre più una professione nel senso weberiano, lontana dai bisogni delle persone, sempre più verticistica ed espropriante fino a togliere ai cittadini la possibilità di scelta dei candidati già decisi dalle oligarchie inamovibili dei partiti. Ormai si assiste ad un’omologazione di comportamenti, pratiche politiche, ricette tra maggioranza ed opposizione, ad un appannamento di valori e di tensione etica, alla mancanza di un progetto di società che si proponga di fuoriuscire dal modello di neoliberismo perverso, responsabile della catastrofe antropologica e ambientale. Anche i partiti di massa si sono trasformati in oligarchie di professionisti della politica. La sovranità è ridotta ad una finzione. La politica non può essere più un privilegio o un lusso per pochi, non può essere una professione, non può essere un luogo per fare carriera, ma richiede il contributo di tutti, è un diritto-dovere di tutti. I partiti sono stati e sono certamente un pilastro fondamentale della democrazia, ma devono rinnovarsi profondamente e sono comunque solo una faccia della democrazia. Essi si devono confrontare con le diverse espressioni della convivenza sociale. (Art.1, 2 (i diritti inviolabili in tutte le formazioni sociali), 18 (diritto di associazione) e 49 ( diritto di associazione in partiti). Il rimedio allo svuotamento della democrazia è l’esercizio della cittadinanza da parte di moltitudini di persone, costruire una democrazia dal basso. La politica è la più nobile delle attività umane, è lo spazio-tempo dedicato alla comunità. La società civile è cresciuta molto negli ultimi due decenni. Sorgono continuamente movimenti, associazioni, gruppi, che esprimono una domanda di partecipazione anche in Italia. E’ urgente la necessità di una rifondazione teorica e pratica dello strumento partitico e del concetto stesso di democrazia, con un’elaborazione teorica e programmatica adeguata ai problemi e ai bisogni delle società industrializzate avanzate. In primo luogo, ritengo, perciò, che occorra operare nella pratica una critica della forma-partito tradizionale e un rifiuto della delega permanente e tendere ad una rifondazione dal basso di una nuova sinistra, evitando sommatorie di sigle e di apparati di partiti esistenti a livello verticistico e a scopi elettorali (vedi PD), ma scavando, invece, nella storia e nei valori della sinistra, aprendo un grande confronto e dibattito unitario alla base. Ciò significa porsi come strumenti di partecipazione nuova, al di fuori dei partiti, senza rifiutarli, ma con l'impegno a rinnovarli, in risposta alla crisi dei canali tradizionali di partecipazione, politica e sociale, ricercando e indicando un modo nuovo di partecipazione politica, attraverso la formazione delle decisioni dal basso. La nuova sinistra non può essere concepita come una semplice operazione cosmetica di fusione e di sommatoria dei partiti esistenti, ma attraverso un rinnovamento di idee, obiettivi, programmi o modi gestire il potere e una pratica sociale che ricrei le condizioni dell'unità nelle lotte e nei luoghi dell'esproprio della partecipazione. Il momento fondante della nostra azione, a mio parere, deve essere questo tentativo di politicizzazione della società civile, di diffusione della politica in tutte le pieghe della società. Sensibilizzare e attivare la società civile significa potenziare la partecipazione dei cittadini e avviare una rifondazione della politica. Soltanto una partecipazione dal basso, un'attivazione della cittadinanza può vincere le resistenze e i privilegi delle burocrazie ed oligarchie partitiche, che hanno ridotto i partiti a luogo della mediazione clientelare e dei baratti elettorali. La politica, dunque, non più come monopolio di coloro che ne fanno una professione, che, per dirla con Weber, vivono di politica e non per la politica, ma riconsegnata ai cittadini. Dalla repubblica dei partiti alll repubblica dei cittadini. La premessa necessaria a ciò è la laicità dell’agire politico, come antidoto agli eccessi ideologici, ai fondamentalismi e all’autoritarismo.La seconda premessa è la necessità di costruire una coscienza ed una consapevolezza collettiva sociale e politica, come premessa fondamentale della democratizzazione della società. Ciò significa essere presenti in ogni ambito sociale, culturale e politico con assunzione di compiti di opposizione, di proposta e di controllo nella vita sociale del Paese, ossia il valore della pratica sociale di massa come risposta alla crisi dei canali di partecipazione politica. La pratica sociale è, infatti, il nucleo fondante e primario della politica, in quanto significa portare la politica alle persone. La pratica sociale come nuovo modo di fare politica, cioè andando all’origine dei rapporti sociali, dove nascono i problemi, i bisogni e si devono trovare le risposte e le soluzioni. L’interlocutore fondamentale deve essere la società che non partecipa, superando il mandato permanente. Attraverso la pratica sociale, si determina una politicizzazione della società civile, che non partecipa, che non lotta e che subisce, facendo leva sui bisogni espressi e inespressi, nei luoghi e in tutte le sedi e occasioni di rapporto sociale, per riportare la politica nei luoghi propri, dai quali, grazie al verticismo e burocratismo dei partiti, è scomparsa, laddove si determinano lo sfruttamento, la repressione individuale e sociale, la persuasione occulta. Dunque, una politica nuova, radicata nei quartieri, nelle città, diventa il luogo privilegiato dell'agire politico e l'alternativa all'astratta statualità e al parlamentarismo filtrato dalle camarille di partito. Ciò comporta anche la necessità di un controllo più diretto delle amministrazioni locali, di una mobilitazione per la gestione democratica del suolo urbano e dei trasporti, della scuola, dell'organizzazione sanitaria e previdenziale; di un'organizzazione dal basso per la conquista di determinati diritti civili. Significa operare per la costruzione di uno Stato diverso, più vicino ai cittadini e in grado di fornire risposte adeguate ai bisogni di questi. L'unica maniera per farsi ascoltare dai partiti di sinistra è, contestarli alla base, davanti ai lavoratori, ai cittadini, operando nella società civile in posizione autonoma, esercitando una funzione di elaborazione teorica, di analisi della società, di sperimentazione politica e di lotta, operando nella realtà della città, dei quartieri, delle fabbriche, delle scuole, delle università, degli ospedali e in ogni struttura intermedia, anche come momento di verifica per una convergenza di tutte le forze disponibili al cambiamento. In altri termini, individuare nella società civile, espropriata di ogni partecipazione politica, il luogo privilegiato di generalizzazione della lotta e di ritorno della politica nel proprio ambito sociale. Si tratta di operare una stretta connessione tra lavoro di analisi, di elaborazione e azione politica concreta e costruire, a partire dalle esperienze locali, i contenuti programmatici e culturali per la nuova società che si deve costruire. Non ideologie prefabbricate, o mutuate da modelli storici precostituiti, ma risposte concrete ai bisogni che nascono dal contesto sociale, secondo le indicazioni che emergono dalle lotte, attorno a valori fondanti di solidarietà, giustizia, uguaglianza, rendendo partecipi e protagoniste le moltitudini di persone della costruzione della nuova società. Nel senso anzidetto, non c’è differenza tra pratica sociale e pratica politica. Anzi la pratica sociale deve diventare il nucleo fondante della politica. A livello locale, la vicinanza alle istituzioni dove si prendono le decisioni e la più diretta conoscenza dei problemi, consentono una partecipazione più consapevole e diretta. Per avviare un processo di cambiamento, per risolvere i problemi di una comunità, occorre ascoltare e coinvolgere moltitudini di persone, recuperare le energie, le idee, le competenze e la creatività di tanti, perché quando le persone sentono di potere avere un peso nelle decisioni, si sentono più coinvolte, escono dall’apatia; si crea fiducia e speranza nel futuro, la democrazia si vivifica. Se non c’è partecipazione spesso è perché non c’è conoscenza dei problemi. Ma è anche vero il contrario. Se non si partecipa, non si conoscono i problemi né si crede nella possibilità di risolverli. E’ necessario fare capire alle persone che devono fare sentire la loro voce, agire con autonomia e consapevolezza per ottenere i loro diritti ed uscire dalla mentalità di chiederli come favori. La pratica partecipativa, ovviamente, evita il clientelismo, la mafia e l’illegalità, perché tutte le decisioni e le scelte sono pubbliche e trasparenti. Ma serve anche a demistificare e a contro informare. Memori della lezione marxiana e gramsciana circa la necessaria dialettica tra struttura e sovrastruttura, un’attenzione forte deve essere portata sulla scuola e sulla formazione. Consapevoli dei processi di manipolazione dell’opinione pubblica, bisogna porsi il problema di un’informazione alternativa all’industria culturale dominante e al monopolio della grande stampa padronale e governativa, dei partiti e della RAI-TV. Certo la partecipazione comporta anche sacrifici, impegnare un tempo della propria vita, ma ne vale la pena. I nostri veri nemici siamo noi stessi che non partecipiamo. Se la politica non la facciamo noi in prima persona, la fanno gli altri e poi non ci possiamo lamentare. Non si cambia in profondità una società senza un lavoro a lungo termine di pedagogia politica, che deve cominciare sin dalla scuola dell’infanzia per continuare nella società.

Piero Di Giorgi