domenica 16 maggio 2010

Crisi globale e questione meridionale

Crisi globale e questione meridionale
di Piero Di Giorgi

La crisi finanziaria che stiamo attraversando, con le ripercussioni sull’economia reale, ha mostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, il vero volto della globalizzazione neoliberista e dei suoi corollari di un mercato senza regole e senza controlli.
La crisi, prima taciuta, poi annunciata a piccole dosi, negandone la reale gravità, progressivamente, è stata rivelata nei suoi aspetti più drammatici, pur senza saperne definire l’entità ed essere in grado di fare previsioni sui suoi esiti. Le oligarchie economiche e politiche, i banchieri e gli speculatori di ogni genere, che hanno determinato le condizioni dell’immane disastro, scaricandone le conseguenze sui più poveri del mondo, sulle classi lavoratrici e sulle classi medie, si comportano come se si trattasse di una crisi congiunturale, muovendosi secondo vecchie logiche, tendenti a ricostruire le condizioni di nuovi profitti e rendite, concedendo massicci finanziamenti alle banche, prime responsabili del crac, e addossando, come sempre l’onere sui lavoratori a reddito fisso e pensionati, mentre evasione ed elusione fiscale, paradisi fiscali prosperano tranquillamente.
Ed invece, a me pare che ci si trovi di fronte ad una crisi di sistema e perciò strutturale, che ci pone di fronte ad una biforcazione con esiti diametralmente opposti: sbocchi autoritari o democratico-partecipativi. Dopo la crisi del ’29 s’imboccò la prima strada. Oggi si tratta di costruire una democrazia sostanziale, ricostruendo lo spazio pubblico attraverso nuove forme della politica basate sulla partecipazione e su legami sociali solidaristici, su un’economia sociale e su una riconversione ecologica dei processi produttivi, a partire dal Mezzogiorno.
La “questione meridionale”è scomparsa da tempo dall’agenda politica ed è pressoché assente anche nel Parlamento europeo. Eppure c’è un mezzogiorno che non si è arreso e che si sente privo di rappresentanza politica. Bisogna rilanciare con forza la costruzione di una mesoregione mediterranea per affermare in termini alternativi la questione degli squilibri territoriali tra Nord e Sud. La rinascita del Sud passa inevitabilmente dall’assunzione di un ruolo di centralità del Mediterraneo, di cui si deve fare carico un’Europa democratica.
I soldi elargiti dall’Unione europea per il Sud sono stati spesso utilizzati per spese correnti e clientelari. Occorre che, nel periodo che resta fino al 2013, tali fondi siano vincolati al fine del suo sviluppo e delle necessarie infrastrutture, con controlli continui e tempi contingentati. Occorre anche, in considerazione del fatto che i tassi d’interesse al sud sono mediamente superiori di tre punti rispetto al nord Italia, che i prestiti per investimenti siano direttamente erogati dalla Banca europea e che gli interessi siano a carico della comunità europea. Occorrerebbe anche l’istituzione di banche di credito cooperativo e banche etiche, un sistema di cooperative agricole e di pesca, di investimenti nella conoscenza e nel turismo. Riconversione e sviluppo ecosostenibile dovrebbero essere gli obiettivi di tutte le forze progressiste dell’Europa meridionale, perché non vi può essere un’Europa di pace e di giustizia senza il rilancio di’un’iniziativa nel mediterraneo e verso il sud in tutti gli aspetti economici e politici. L’obiettivo dell’Europa deve essere, a mio modesto avviso, la creazione nel Mediterraneo di un’area economica sufficientemente vasta ed organica, che si proponga come modello di sviluppo alternativo a quello della globalizzazione neoliberista, uno sviluppo che si radichi nelle tradizioni territoriali, storico-culturali e ne esalti i valori solidaristici, di ospitalità, di creatività di quell’area. Sarebbe auspicabile la creazione di una banca mediterranea e di un’Università mediterranea.
La politica dell’attuale maggioranza ha, sin dall’inizio, trasferito soldi dal meridione e in particolare dalla Sicilia, a cominciare dai fondi destinati alle infrastrutture viarie e ferroviarie, per abolire l’ICI, e poi i fondi Fas per destinarli ai terremotati. Penso poi alla riforma del federalismo fiscale, che mette a rischio la spesa sociale e dei servizi, ma che può anche sterilizzare per sempre quei principi costituzionali a garanzia dell’uguaglianza tra le persone e territoriali, previsti dal combinato disposto degli artt. 3 e 119.
Sono convinto che un vero cambiamento nel senso dianzi indicato possa realmente realizzarsi se si riesce a ricostruire le condizioni per una partecipazione attiva alla vita della città, dove i cittadini possano incontrarsi, confrontarsi e prendere decisioni condivise, la cui premessa è la riappropriazione della soggettività e della responsabilità dei cittadini del Sud e la riaggregazione di un blocco subalterno, liberato dai ricatti clientelari e dai voti di scambio, attraverso l’esercizio di azioni collettive, per impedire scempi ecologici, abusivismo, salvaguardia del lavoro, lotta per i diritti sociali, quali la scuola, la salute, l’abitazione. Un ruolo importante, in tale direzione, dovrebbero svolgere intellettuali e forze progressiste ma anche una chiesa riconvertita, che ritorni alla fedeltà ai principi di liberazione del vangelo, riprendendo la sua collocazione originaria a fianco degli ultimi, per testimoniare la giustizia.

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