domenica 9 maggio 2010

Dispersione scolastica

Lo studio dell’invalsi e la piaga della dispersione scolastica

di Piero Di Giorgi

Lo studio dell’Invalsi (Istituto nazionale di valutazione del sistema scolastico nazionale), presentato l’8 febbraio all’università Milano-Bicocca, sui livelli di apprendimento in seconda e in quinta elementare dell’italiano e della matematica, prospetta un quadro allarmante della situazione della dispersione scolastica nel Sud e in particolare in Sicilia. Il divario aumenta tra la seconda elementare e la quinta. Infatti, il divario, per l’italiano, in seconda elementare è del 4,7 al Nord, del 8,9 al centro e del 17,5 al Sud, e, per la matematica, del 7,2 al Nord, del 8,4 al centro, del 28,3 al Sud, in 5^ elementare, per l’italiano, è al 7,5 al Nord, al 8,7 al centro e al 25,2 al Sud, mentre, per la matematica, è al 9,3 al Nord, al 18,3 al centro e al 37,1 al Sud.
Lo studio conferma, in qualche modo quanto già aveva messo in luce l’indagine OCSE-PISA del 2008, secondo cui il Nord rappresenta l’area in cui si riscontrano i migliori risultati degli alunni, mentre la Sicilia fa registrare tra i risultati peggiori del Sud, con una percentuale di dispersione, nel 2007, del 26%, con un tratto distintivo che evidenzia che il fenomeno colpisce più i maschi che le femmine.
Col termine dispersione scolastica, che dagli anni ’80 ha sostituito quello di “mortalità scolastica”, s’indica l’evasione scolastica, il drop-out o abbandono scolastico, l’irregolarià o rallentamento del percorso formativo. In verità, si tratta di una denominazione addolcita di un fenomeno che, nell’imperversare di un’altra epoca storica e culturale, veniva chiamata “selezione classista” nella scuola, dicitura ancora utilizzata, fino a qualche anno fa nelle circolari scolastiche dello stesso ministero della P. I. Infatti, dietro questo fenomeno, ci sono quasi sempre situazioni di disagio sociale e di emarginazione, che costituiscono, in molti casi l’anticamera della devianza.
La scuola, che dovrebbe essere luogo di formazione, di crescita e di inclusione sociale, di fatto, non offre pari opportunità a tutti gli alunni, in particolare ai ceti sociali svantaggiati. Il che vuol dire che il diritto allo studio, riconosciuto dalla nostra Costituzione e sancito dal legislatore, soprattutto con la legge n. 517 del 1977, viene vanificato.
Sembra ovvio sottolineare che il problema della dispersione scolastica si traduce in un vero e proprio spreco di potenzialità e risorse umane, che costituisce un grave ostacolo allo sviluppo della Sicilia e chiama in causa responsabilità gravi dei nostri governanti, che, incuranti del fatto che la conoscenza viene oggi considerato il nuovo fattore di produzione e conditio sine qua non per lo sviluppo di un Paese, hanno sempre più lesinato e tagliato le risorse destinate alla formazione.
Per arginare il fenomeno sono stati attivati osservatori provinciali sulla dispersione, che collaborano con le scuole di ogni ordine e grado e nel 2006 è nato anche lo’osservatorio regionale permanente, ma non hanno dato i risultati sperati. Negli anni ’90 sono stato chiamato dal Provveditorato di Trapani a far parte, in qualità di esperto, dell’osservatorio provinciale, esperienza che mi ha portato a scrivere, forse, il primo libro organico sulla dispersione scolastica, che è stato distribuito in tutti provveditorati d’Italia, nel quale analizzavo le cause del fenomeno e proponevo alcune idee, che ritengo ancora valide.
Innanzitutto, nell’affrontare il fenomeno della DS, bisogna abbandonare la tradizionale ottica causale-lineare per fare posto a un’ottica circolare e sistemica. La scuola è un sistema formato di insegnanti, alunni, personale ATA, dirigente scolastico ed è in interazione costante, a sua volta, con altri sistemi come la famiglia, il quartiere, l’azienda sanitaria, l’ente locale; tutto ciò comporta che una serie di fattori: cause esterne (fattori socio-economici e culturali della famiglia; cause personali dell’alunno, quali salute, timidezza, scarsa motivazione e bassi livelli di aspirazione e cause legate al territorio come carenze di servizi socio-sanitari, edilizia scolastica, inadempienze degli enti locali, carenze dei servizi socio-sanitari, lavoro minorile ecc.), e cause interne alla scuola (mancanza di laboratori, discontinuità educativa verticale orizzontale, carenza di qualificazione dell’azione didattica, assenza di rapporti continuativi scuola-famiglia, ma soprattutto il mancato uso di una corretta comunicazione educativa come fondamentale risorsa didattica) intervengono come concause a determinare la D.S. In particolare, per quanto riguarda la relazione pedagogica, prevale un’epistemologia di tipo causale-lineare,che si concreta in una relazione trasmissiva, verticale e selettiva. L’insegnante, depositario di sapere, lo trasmette all’alunno, il quale deve apprenderlo. Se non vi riesce, la colpa è sua perché non studia, non capisce, è poco intelligente, è svogliato. E’ basata sulla separatezza osservatore-osservato e l’insegnante è visto come neutrale ed esterno. L’ottica circolare, invece, tiene conto di una multifattorialità che interviene sistemicamente a determinare un risultato. Non c’è separatezza tra osservatore e osservato. L’insegnante è parte integrante del sistema e perciò del successo o dell’insuccesso dell’alunno. Si fonda sull’orizzontalità della relazione, che è personalizzata e basata sull’autenticità. L’insegnante è motivato a un elevato investimento emotivo e si mette continuamente in discussione. La relazione pedagogica diviene processo formativo e rimotivante per gli alunni. L’educazione non è solo centrata sulla cognizione ma anche sull’affettività, che, anzi, è precondizione e l’energia attraverso passa qualsiasi apprendimento.
In sostanza, la scuola non può essere solo una scuola dei contenuti e dei programmi, ma deve essere soprattutto un ambiente educativo e di apprendimento, dove, in primo luogo si sta bene insieme, una scuola-laboratorio, che includa il territorio intorno ad essa, trasformandolo in una grande aula decentrata. Una scuola cioè motivante e coinvolgente, essendo quello della motivazione il problema centrale insieme a quello del linguaggio. Il linguaggio povero di cui sono in possesso le classi marginali o gli immigrati, che usano prevalentemente il dialetto, costituisce un ostacolo all’apprendimento, perché il linguaggio, come ha messo in luce Lev Vygotskij, da mezzo di comunicazione esterna, si trasforma in struttura mentale, in strumento di categorizzazione. La parola è linguaggio e pensiero al tempo stesso, perché il significato è l’unità di base componente del pensiero verbale. L’insufficienza di concetti e di generalizzazione adeguata non rende possibile la comunicazione. La scuola dell’infanzia è di fondamentale importanza, non solo come luogo di socializzazione, ma soprattutto perché essa assolve a una funzione di decondizionamento precoce delle disuguaglianze di origine familiare.
Il non sapere garantire pari opportunità a tutti gli alunni chiama in causa le responsabilità dei governi e la loro politica dissennata di tagli alla scuola pubblica in termini di servizi come il tempo pieno, di insegnanti di sostegno, di edilizia scolastica, di formazione degli insegnanti e costituisce certamente un danno soprattutto per gli alunni più svantaggiati, risultando funzionale alla riproduzione sociale delle disuguaglianze.

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