giovedì 1 novembre 2012

Debito pubblic


Non sottovalutare il problema. Il debito pubblico non è una questione di ordinaria politica.
È una guerra del potere finanziario contro le comunità nazionali per imporci il proprio dominio e impossessarsi della nostra ricchezza.
Se vince, perderemo democrazia, sicurezza sociale, beni comuni e ogni altra conquista sociale.
Per piegarci al suo volere, il potere finanziario usa giornali, televisioni ed economisti, per darci un’unica versione dei fatti. Il suo intento è convincerci che il nostro unico dovere è pagare, non importa se la disoccupazione cresce, se i servizi si riducono, se la previdenza sociale scompare.
Non possiamo sperare che sia la classe politica ad arrestare questo lento declino. Per convinzione o per interesse, i politici sono alleati dell’oligarchia finanziaria. Solo una grande opposizione popolare potràsalvarci.
Ma per costruirla ci vuole il contributo di tutti.
 Varie le ipotesi possibili:

L’italia è una storia di tipo D. Dal dopoguerra tutto è cresciuto: il prodotto interno lordo, il gettito fiscale, la spesa pubblica.
Quest’ultima, però, è cresciuta più del primo e ha generato debito.
Ha ragione chi afferma che ci siamo indebitati perché abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità?
Non proprio: ci sono gli interessi che stravolgono tutto.

A giugno 2012 il debito pubblico italiano sfiora i 2.000 miliardi di €
ed è quasi tutto a carico dello stato.

Il debito è la somma dei deficit, ossia delle disparità (disavanzi) che si creano nei singoli
anni fra entrate e uscite. Varie le ipotesi possibili:

USCITE
 Defi cit
per diminuizione di entrate
Defi cit per aumento di uscite
Defi cit
per aumento di uscite superiore a quello delle entrate.

1° livello: SALDO PRIMARIO
È un saldo parziale che mette a confronto le entrate totali con le spese
per servizi, investimenti e previdenza sociale.
A rimarcare la loro centralità, tali spese sono anche dette primarie.
Il risultato può evidenziare un risparmio
(avanzo primario), un eccesso di spese (disavanzo primario), una parità (pareggio primario).
2° livello: SALDO DI BILANCIO
È il saldo finale che mette a confronto le entrate totali con le uscite totali, ivi comprese eventuali spese per interessi. Il risultato può essere un avanzo di bilancio, un deficit di bilancio o un pareggio di bilancio.

Nel 2011 abbiamo avuto un avanzo primario di 16 miliardi.
Ma gli interessi ci hanno provocato un deficit di 62 miliardi.Se non si hanno abbastanza soldi per pagare gli
interessi, si entra nella spirale perversa degli interessi che alimentano il debito.

Il debito, come e perché
Genesi e sviluppo del debito italiano
Dal 1980 al 1991 la spesa primaria fu superiore alle entrate per 140 miliardi di €. Ma il vero problema furono gli interessi cheoscillavano fra il 12 e il 20%. Bisognò attendere il 1996 per vederli scendere sotto al 9%.
In parte l’Italia pagava per le scelte di Reagan che aveva bisogno di soldi per finanziare lo scudo spaziale. Non volendo alzare le tasse, si finanziava richiamando capitali dal resto del mondo offrendo alti tassi di interesse. Gli altri paesi assetati di prestiti non avevano altra scelta che offrire di più.
Con l’eccezione del 2009-2010, tutti i governi successivi al 1992 hanno mantenuto
la spesa primaria al di sotto delle entrate. Ma il debito ha continuato a crescere per effetto degli interessi.
Gli anni bui del debito pubblico italiano vanno dal 1980 al 1996,un quindicennio durante il quale il debito cresce 10 volte:
da 114 a 1.213 miliardi di €. Ma non fu solo per troppe spese.

Il debito, come e perché
Trent’anni di interessi a debito
Dal 1980 al 2011 le spese per servizi sono state inferiori al gettito fiscale per 484 miliardi. Ma 2.141 miliardi di interessi ci hanno fatto indebitare all’inverosimile.

Riepilogando, i conti non tornano
Riepilogo 1980-2011
Debiti accumulati per servizi e investimenti
Debito di partenza al 1980 114 + Disavanzi primari 149 = Totale indebitamento al 2011 per servizi e investimenti 263
Risparmi realizzati
Avanzi primari 633 –Disavanzi primari 149 = Risparmio netto 484 –Debito di partenza 114 =
Avanzo del trentennio 370
Debito finale
Interessi pagati nel trentennio 2.141 – Avanzo del trentennio 370 = Differenza a debito per interessi 1.771 +
Altre voci di debito non precisate 126
Debito totale al 2011 1.897
Nel trentennio 1980-2011, per 14 anni abbiamo avuto spese per servizi superiori alle entrate.
Ma negli altri 18 siamo stati al di sotto producendo un risparmio netto di 484 miliardi.
Ciò nonostante ci ritroviamo con un debito di 2.000 miliardi. Qualcosa non torna.

Dicono che siamo un popolo di spreconi. In realtà siamo un popolo di risparmiatori spennati.

Più che il valore assoluto del debito, interessa il rapporto col Prodotto interno lordo (Pil) perché indica quant’è grande in rapporto alle forze del paese.
La Germania ha un grande debito in termini assoluti. Ma in rapporto alle sue forze è leggero come sughero.
La Grecia ha un piccolo debito, ma per le sue forze è pesante come un macigno.
Debiti d’Europa
(anno 2011 in miliardi di €)
Germania: debito 2.088;  PIL 2.570  Rapporto tra debito e PIL 81,2
Italia: debito 1.897; PIL 1.580                 "            "                  120
Francia: debito 1.717; PIL 2.000              "            "                  85,2
Regno Unito: debito 1.650; PIL 1.924;    "             "                  85,7
Spagna: debito 734; PIL 1.073;               "              "                 68,5
Grecia: debito 355; PIL 215;                    "            "                 165
Portogallo: debito 184; PIL 171                "            "                107
Irlanda 169 156 108
[Fonte: Eurostat, Newsrelease euroindicators, 23 aprile 2012]

Trattandosi di un rapporto, la grandezza varia in base all’andamento delle due variabili.
Rimane stabile se Pil e debito crescono o diminuiscono della stessa proporzione.
Cambia drasticamente se le due misure si muovono in direzione opposta.
Cambia moderatamente se si muovono nella stessa direzione, ma in proporzioni diverse.

Il volto dei creditori
Solo il 15% del debito pubblico italiano è per somme dovute a fornitori o altri creditori diretti.
Il resto è per prestiti ottenuti dal mercato finanziario in cambio di titoli di stato.
Fondi e Assicurazioni
Banche italiane
Francia
Germania
Altri soggetti esteri
Struttura del debito pubblico

Alla guerra del mercato
Il debito pubblico diventa un problema quando è trasformato in oggetto di speculazione da parte dei mercati, che possono agire indisturbati per decisione degli stati di abdicare alla propria sovranità.
Speculatori più potenti degli stati Ricchezza amministrata (miliardi $)
Barclays 3.700
BlackRock 3.700
Lazard 2.908
JP Morgan 2.265
Deutsche Bank 2.164
Credit Suisse 1.067
Il problema degli stati è che debbono ricorrere periodicamente ai mercati per rifinanziare il proprio debito. In altre parole devono chiedere nuovi prestiti per restituire quelli in scadenza. I mercati usano la speculazione al ribasso per imporre ogni volta tassi di interesse più alti.
Ma il danno non è solo per le casse pubbliche. È anche per le banche che si vedono ridurre il valore dei titoli di stato in loro possesso.
Nell’insieme può scatenarsi una sfiducia verso l’intero sistema economico tale da provocare il tracollo della moneta.
Il mercato considera i titoli del debito pubblico come valori vendibili e prima che arrivino a scadenza possono passare varie volte di mano.

La speculazione interviene in questo circuito (mercato secondario) per manipolare i prezzi e guadagnare
in più tempi.
1. Guadagno immediato a spesedegli altri investitori
2.Guadagno successivo a spese dello stato.
Generalmente, sui titoli del debito pubblico
si applica la speculazione al ribasso che consiste
nel fare crollare il prezzo. L’operazione avviene in due tempi:
1) Lo speculatore prende a prestito dei titoli per venderli al prezzo del momento;
2) quando i prezzi sono scesi ricompra i titoli (a prezzo ribassato) per restituirli a chi glieli ha prestati.
Il sistema interpreta la caduta dei prezzicome una perdita di fiducia nei confronti dello stato in questione e ne tiene conto quando questi si presenta sul mercato per chiedere nuovi prestiti.
Allora gli viene ricordato che i prestiti a soggetti poco affidabili sono considerati a rischio e possono essere ottenuti solo in cambio di interessi più alti.

Lo spread spiegato dal contadino
Spread significa differenziale e indica la differenza di rendimento fra titoli.
Poiché il rendimento è il guadagno in rapporto all’investimento, tanto più bassa la qualità, tanto più alto il rendimento.
Parola di contadino.
Il racconto
Padre e figlio vanno alla fiera in cerca di una mucca. Ne trovano due della stessa capacità produttiva. Ma una è sana, l’altra azzoppata. Il figlio si innamora della sana, ma il padre prende quella azzoppata.
- Perché ti diverti a prendere gli scarti? – chiede il figlio adirato.
- Perché bado al rendimento – risponde il padre.
- Ma papà il rendimento è lo stesso: 30 litri l’una, 30 litri l’altra.
- Sbagliato! Non devi valutare solo la produzione, ma anche l’investimento. Quella sana costava 1.000, quella azzoppata 500, con metà della somma ottieni la stessa quantità di latte,ossia il doppio di rendimento.
- Se oltre che zoppa, fosse stata pure cieca, avremmo fatto un affare addirittura migliore – commenta il figlio sgomento.
- Senz’altro – conferma il padre – l’avremmo pagata ancora meno.
- In conclusione, – ribatte il figlio – rendimento alto è sinonimo di investimento scadente, rendimento basso è sinonimodi investimento pregiato.
- Bravo! – conclude il padre raggiante – Vedo che cominci a capire qualcosa di economia.

In Europa i titoli di stato più apprezzati sono i bund tedeschi, pertanto sono presi come riferimento per valutare il grado di fiducia verso quelli degli altri stati.
L’elemento assunto come indicatore è lo spread, ossia il differenziale dei rendimenti.
Esempio
Se il rendimento del BTP italiano è del 5% e quello
del Bund tedesco è del 2%, lo spread è di 300 punti
(5-2=3%).
Poiché il rendimento cresce al ridursi del valore del titolo, e ciò si verifica quando il titolo è poco richiesto,
lo spread alto significa bassa domanda e quindi alta sfiducia.
Conseguenze
1. Gli speculatori possono approfittare del clima di sfiducia per lanciare un attacco speculativo che aggrava ulteriormente la sfiducia.
2. La sfiducia può obbligare lo stato a pagare interessi più alti su di titoli di nuova emissione.
3. Interessi più alti possono rafforzare la convinzione che lo stato fallirà, il panico può scatenare la fuga
di capitali generando penuria di liquidità a tutti i livelli.
4. Le banche hanno difficoltà di accesso al credito perché si trovano a dare in garanzia titoli che valgono
meno.

Obiettivo spennarci
Conseguenze
1. Si aggravano le disparità
Nel 1985, in Italia, il divario fra il 10% più ricco e il 10% più povero era 8 a 1. Nel 2008 è salito 10 a 1.
L’11% delle famiglie italiane vive in povertà e un altro 7,6% è a rischio di diventarlo. (Istat luglio 2012)
2. Peggiorano le nostre condizioni di vita Più soldi paghiamo per interessi, meno ne abbiamo per servizi e previdenza sociale.
Nel 2011 abbiamo versato nelle tasche dei ricchi 78
miliardi. Nel 2012 la cifra è attesa a 90 miliardi.
Soldi sottratti a scuola, sanità, creazione di posti di lavoro, in perfetto stile neoliberista.
Fra il 2008 e il 2012, fra maggiori tasse e minori spese, abbiamo subito un salasso di 330 miliardi di €.
[Il sole 24 ore, 16 luglio 2012]
Il debito è diventato una guerra dei mercati contro le comunità nazionali per fare aumentare i tassi di interesse e intascare più soldi.
All’Italia ogni aumento dell’1% procura una maggior spesa annua per interessi
di 16 miliardi. A vantaggio dell’oligarchia finanziaria.

Da quando (gennaio 2002) abbiamo adottato l’euro, abbiamo perso sovranità monetaria e assieme ad essa una serie di strumenti che ci permettevano di ridurre la dipendenza dai mercati.
Cosa non possiamo più fare:
1. ordinare alla Banca d’Italia di finanziare il debito con la stampa di nuova moneta
2. ordinare alla Banca d’Italia di intervenire massicciamente in caso di attacchi speculativi.
Né c’è da sperare che queste funzioni siano
svolte dalla Banca Centrale Europea perché la sua missione non è salvare gli stati, ma combattere
l’inflazione.
In effetti l’euro nasce come degli amici che decidono di fare vita in comune, ma non si fidano l’uno dell’altro. E per paura che tutti possano andare in malora per colpa di qualcuno che esagera col riscaldamento, che lascia le luci accese, che va troppo spesso al ristorante, si danno regole strettissime e nominano un amministratore con un mandato severo.
La paura dell’Europa, quando fonda l’euro, sono i debiti sovrani. Soprattutto vuole evitare che vengano finanziati con moneta aggiuntiva perché può portare a inflazione e svalutazione, con danno per tutti.

L’euro nasce con la convinzione che la priorità è la stabilità monetaria e che la principale minaccia a questo progetto è rappresentato dai debiti pubblici, specie se risanati con l’emissione di nuova moneta.
Pertanto l’Europa fa due scelte:
1. Toglie agli stati il rubinetto del denaro (sovranità monetaria) per consegnarlo al sistema bancario privato sotto la guida della Banca Centrale Europea.
2. Avverte gli stati che se fanno debito dovranno arrangiarsi da soli.
Conseguenze:
1. Stati totalmente dipendenti dal sistema creditizio privato.
2. Stati senza possibilità di regolare l’economia e di espandere la spesa
pubblica in base alle necessità.
3. Banche più forti perché trasformate nel canale privilegiato di diffusione
della moneta tramite il credito.

Banca Centrale Europea
Direzione: Governatori delle Banche Centrali Nazionali
Obiettivo: Mantenere la stabilità dei prezzi (art. 127 Trattato UE)
Funzioni: Emettere banconote, concedere crediti agli istituti bancari, acquistare e vendere titoli sul mercato
secondario
(art. 18 Statuto BCE)
Divieti: Concedere prestiti a stati e
altre strutture pubbliche
(art. 21 Statuto BCE)

Tutto questo ci è stato regalato nel 1992 col Trattato di Maastricht



















Unificare la moneta è come spalancare le gabbie dello zoo:
le bestie più forti entrano nelle gabbie di quelle più deboli e le depredano.

In Europa i paesi economicamente più forti sono quelli del Nord, non solo per dimensione produttiva, ma
soprattutto per vantaggio competitivo.
In particolare la Germania che dal 1999 riduce i costi di produzione tramite la riduzione salariale, la moderazione fiscale, la flessibilità del lavoro. L’unificazionemonetaria ha facilitato leesportazioni tedesche che
hanno invaso tutta Europa danneggiando l’apparato produttivo dei paesi più deboli: Portogallo, Grecia, Spagna, in qualche misura l’Italia.
Il risultato è un’Europa distorta con un Nord forte che vende più di quanto comprae un Sud debole che compra più di quanto vende. Una situazione che si riflette anche sui bilanci pubblici che registrano un indebitamento crescente a causa di introiti sempre più bassi.
Ma nessuno parla. Tacciono gli industriali tedeschi ansiosi di espandersi. Tacciono le banche europee ansiose di prestare soldi a chi cerca di tappare le falle indebitandosi. Tacciono i politici ansiosi di far credere
che tutto va bene.
Ma i palazzi storti prima o poi vengono giù.
Il debito pubblico non è solo un problema del Sud, ma di tutta Europa.
A livello di eurozona la cifra complessiva è di oltre 8.000 miliardi. Anche a causa delle banche.



Il debito di ogni paese ha la sua storia e quella dei paesi del Nord è fortemente intrecciata con i
dissesti bancari.
Dal 2007 il sistema bancario occidentale è nella tormenta. Nella bramosia di guadagnare sempre di più le banche hanno espanso a dismisura le proprie attività, non sempre nella giusta direzione.
Molti mutui non sono rientrati, un sacco di scommesse sono risultate sbagliate, fiumi di denaro sono andati
perduti. Ma non si è trattato di soldi propri, bensì presi in prestito e alle banche si è posto il problema di come restituirli.
Per evitare la bancarotta hanno chiesto soccorso ai governi e l’hanno ottenuto.
Ma per salvare le banche, i governi hanno indebitato se stessi.

La retorica vuole un’Europa solidale. La realtà mostra un’Europa di tutti contro tutti.
Uniche priorità condivise: salvare le banche e lasciare ai mercati totale libertà di manovra.
17 paesi sono legati fra loro a doppio filo perché utilizzano la stessa moneta.
Se uno solo fallisce, la moneta comune è a rischio. Ma i paesi più forti (Germania,Olanda, Finlandia, Austria) non vogliono saperne di condividere risorse e politiche con quelli più deboli: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna. Che ognuno si arrangi da solo tirando la cinghia per ripagare
Unica concessione: la costituzione di fondi comuni (EFSF come fondo transitori fino al luglio 2013 e ESM come fondo permanente dal luglio 2012) per l’erogazione di prestiti a paesi a corto di soldi per ripagare
i debiti in scadenza.
Ma i prestiti sono subordinati all’adozione di misure di risanamento dei bilanci pubblici che comprendono aumenti di tasse e tagli drastici alla spesa pubblica.
I paesi assistiti fino al luglio 2012 sono stati Irlanda, Portogallo e Grecia, con esiti disastrosi.
Compiti: Erogare prestiti a paesi membri con situazione finanziaria che compromette la stabilità dell’euro.
Totale prestiti erogabili: 500 miliardi.
Dotazione prevista: 700 miliardi da versarsi sulla base dell’effettivo bisogno.
Quota a carico dell’Italia: 125 miliardi pari al
18% del Fondo.
ESM*
(Fondo di emergenza europeo)
* European Stability Mechanism Meccanismo europeo di stabilità.

Altri modi di uscire dal debito sono possibili.
Ma dipende dal tipo di Europa che vogliamo costruire: se sovrana o asservita al potere finanziario,
se solidale o degli egoismi nazionali, se al servizio della persona nel rispetto dell’ambiente, o del profitto.
Le due Europe possibili:
EUROPA SOVRANA E CONDIVISA. USCIRNE INSIEME
(politiche e risorse
condivise).SOLIDALI
- Trasformazione della BCE in prestatore diretto degli stati.
- Emissione di titoli di debito pubblico europei (Eurobond).
- Interventi per il superamento delle disparità regionali.
- Tobin Tax per limitare le transazioni finanziare.
- Norme per impedire la speculazione sui titoli distato.
- Lotta ai paradisi fiscali.
- Regolamentazione della finanza.
- Nazionalizzare le banche dopo averle depurate dei titoli tossici e dei debiti verso il sistema bancario ombra.
- Tornare a gestire le banche su base locale,come strutture di credito al servizio dell'economia reale.
EUROPA
ASSERVITA
E DISGREGATA
USCIRNE DA SOLI
(politiche di austerità adottate singolarmente).
- Costituzione di fondi d'emergenza per concessione di prestiti.
- Concessione di prestiti condizionati all'adozione di politiche d'austerità.
Tutt'al più difendersi tramite
- Interventi della BCE sul mercato secondario.
- Interventi del fondo di emergenza.
- Colmare gli ammanchi delle banche con soldi di tutti permettendo agli azionisti di continuare a fare profitti.

Tramite la speculazione, l’oligarchia finanziaria riesce a guadagnare sempre di più, ma poi fa come il coccodrillo: piange dopo aver ingoiato la preda.
Non per il dispiacere di avere annientato una vita, ma per paura di non avere più niente da mangiare.
Nella loro avidità senza fine, banche, fondi pensione, assicurazioni, fondi d’investimento, fondi speculativi,
usano tutti i mezzi di cui sono capaci per spingere i governi a porsi come obiettivo primario il pagamento degli interessi, se possibile a tassi sempre più alti. E i governi si adeguano come servitori zelanti: aumentano le tasse e tagliano le spese affinché la ricchezza migri ininterrotta dalle comunità all’oligarchia finanziaria.
Ma ottenuto ciò che volevano, i signori della finanza si mostrano comunque insoddisfatti. Temono che togliendo ricchezza alla gente e riducendo le spese pubbliche, la domanda complessiva possa ridursi a tal punto da inceppare l’intero sistema. In effetti se gli acquisti rallentano, le aziende falliscono e la disoccupazione cresce in una spirale crescente. Così l’austerità si trasforma in recessione che mette tutti nei guai, perché un sistema in crisi non garantisc e ricchezza a nessuno.

Crescita è la ricetta prescritta dai dottori in economia di mercato per salvare capra e cavolo.
Ma la crescita è ancora possibile?
Rendite sempre più alte, ma anche famiglie e stato capaci di alti consumi, questo è ciò che i mercati vorrebbero.
Ma, come fare per ottenere la classica botte piena e moglie ubriaca?
Per i dottori in economia una soluzione esiste: si chiama crescita e tutti la invocano.Se aumenta la produzione, aumenta il gettito fiscale senza necessità di nuove tasse. Alle famiglie rimane abbastanza ricchezza da spendere, allo stato arriva abbastanza denaro per pagare gli interessi e garantire i servizi. I consumi tengono, l’occupazione anche, sta meglio lo stato, stanno meglio le famiglie. Il paese si rimette a correre e tutti vivranno felici e contenti.
Ma esistono le condizioni per crescere?
Vari segnali dicono di no. La globalizzazione prima di tutto, perché porta gli effetti fuori dal paese. Non a caso si punta sull’ulteriore riduzione del costo del lavoro come carta vincente per cavalcare la concorrenza globale. Ma l’ostacolo principale è di carattere ambientale. Gli economisti, brava gente, fantasticano di produzione e ricchezza, consumi e investimenti, come se gli oggetti fossero fatti di niente.
Ma benché ci vantiamo di avere oltrepassato
il confine dell’immaterialità, ogni europeo consuma mediamente 16 tonnellate di materiali all’anno che diventano 51 se consideriamo lo zaino ecologico, ossia i detriti e i rifiuti lasciati lungo le filiere produttive.
E il pianeta non ce la fa più.
Un’altra via di uscita si impone.

Scegliere fra creditori e cittadini
Continuano a dirci che per uscire dal debito non abbiamo altra scelta se non accettare manovre lacrime e sangue che ci impoveriscono e demoliscono i nostri diritti. Ma lungo questa strada, passo dopo passo, arriveremo alla morte per strangolamento.
L’alternativa è avere il coraggio di annunciare al mondo che un paese in difficoltà non fa pagare solo i cittadini, ma anche i creditori. Ecco i quattro passi per un’uscita dalla parte dei cittadini.
- ristrutturazione e ripudio del debito illegittimo;






-lotta alla speculazione;

- congelamento degli interessi;


lotta all’evasione;
- riquali cazione della spesa.

La prima cosa da fare a protezione della comunità è tamponare la falla degli interessi.
Un obiettivo che si raggiunge prima di tutto con la lotta alla speculazione.
Che
fare?
Provvedimenti fiscali e normativi per scoraggiare, addirittura vietare l’uso della speculazione sui titoli del debito pubblico.

Per un’uscita dalla parte dei cittadini
La politica dominante, sia quella di destra che di sinistra, ha scelto di riconoscere il
mercato come forza suprema e l’unica strategia disposta a considerare è quella competitiva.
Trova normale che l’interesse comune possa diventare oggetto di speculazione e impone allo stato di non usare altri strumenti di difesa se non quelli previsti dal mercato.
Ad esempio in caso di speculazione al ribasso, l’unica manovra che si concede è l’acquisto di titoli del debito pubblico per frenare la caduta del prezzo.
Ma manovre del genere sono possibili solo per stati che possono stampare tutta la moneta di cui c’è
bisogno, ossia che dispongono di sovranità monetaria. Di sicuro non l’Italia che ha abdicato a favore della
Banca Centrale Europea. Non a caso Monti ha dovuto raccomandarsi all’Unione Europea di attivare meccanismi anti-spread.
Purtroppo, in virtù della globalizzazione finanziaria, l’Italia ha difficoltà ad assumere anche provvedimenti di divieto della speculazione.
O per lo meno misure efficaci. Ad esempio può porre limiti alla speculazione in ambito nazionale, ma con scarsa efficacia, perché oltre che alla borsa di Milano, i titoli del debito pubblico italiano si trattano anche a quella di Berlino, Parigi, Londra, dove la speculazione può continuare indisturbata.
Tutto questo per dire che le politiche di controllo del mercato possono essereripristinate con efficacia solo se sono concordate a livello internazionale. Il che non è facile.
Per questo, nell’immediato, bisogna essere disposti a considerare anche iniziative più estreme.
Il dramma degli stati è che hanno trasferito ampie porzioni di sovranità a strutture sovranazionali totalmente al servizio delle forze di mercato.
Servono risposte alternative. Una via può essere il congelamento degli interessi. Ossia la sospensione, a

tempo indeterminato, del pagamento degli interessi in forma totale o parziale.
Se fosse noto che l’Italia non paga gli interessi o che lo fa solo ai tassi applicati dalla Banca Centrale Europea, la speculazione non verrebbe neanche più organizzata perché non avrebbe di che alimentarsi.
Quando tutto rema contro non rimangono che le misure estreme, quelle che paralizzano il mercato per asfissia.
Il congelamento degli interessi è una misura che rientra fra le prerogative degli stati, compresi quelli che aderiscono all’Unione Europea.
Ma chi osa proporlo è subito minacciato di ritorsioni mortali. Del tipo “Non otterrete più un euro in prestito”, oppure “Le vostre banche finiranno sul lastrico”. La minaccia, insomma è di essere estromessi
dal circuito creditizio.
Ma se così deve essere, si può rincarare la dose. Si può decidere di sospendere anche la restituzione del capitale in modo da non avere bisogno di ricorrere nell’immediato a nuovi prestiti. Quanto alle banche si può limitare la loro attività alle sole operazioni utili all’economia reale, in modo da ridurre il loro bisogno di liquidità.
In attesa di provvedimenti sovranazionali come la Tobin tax, la regolamentazione dei paradisi fiscali, il ripristino del controllo dei capitali, la speculazione va combattuta con misure che eliminano alla radice la sua ragion d’essere.

Perché continuare a spogliare la comunità per debiti contratti per arricchire i signori della finanza?
Di nuovo l’alternativa è uscire dagli schemi dominanti, avere il coraggio di dichiararci nell’impossibilità di ripagare l’intero capitale imponendo ai creditori di scendere a patti. Qualcuno lo chiama default
(fallimento) e lo ritiene una vergogna indicibile. Altri lo chiamano ristrutturazione e lo ritengono sano realismo.
Di sicuro è un modo per uscirne vivi come mostrano molti atri paesi che dopo aver ristrutturato hanno ripreso a camminare.
2002 Argentina
1999 Ecuador
1999 Indonesia
2002 Moldavia
1999 Pakistan
2003 Paraguay
1998 Russia
2000 Ucraina
2003 UruguayDopo le misure tampone ci vuole un piano per tornare alla normalità, ossia a un debito sostenibile.
Le vie, ancora un volta sono due:
addossare tutto il carico alla comunità, obbligandolo a dissanguarsi per ripagare il capitale, o addossare parte del carico ai creditori, obbligandoli a rinunciare a parte del denaro.

Il 17 luglio 2012 il Parlamento italiano ha ratificato il trattato europeo che obbliga i paesi dell’eurozona a non avere deficit annuali superiori al 3% e a ridurre in 20 anni la parte di debito che eccede il 60% del Pil.
Per l’Italia significa un esborso straordinario di 50 miliardi all’anno che sommati agli interessi portano ad un’emorragia di oltre 100 miliardi all’anno.
Potremo mai farcela senza demolire la nostra casa comune?

Ci hanno detto che il nostro unico dovere è pagare. Ma noi pensiamo che il popolo ha l’obbligo di restituire solo quella parte che è stato utilizzata per il bene comune e solo se sono stati pagati tassi di interesse accettabili.
Un’indagine che valuti anche il ruolo avuto dagli interessi e che esamini la lista dei creditori per capire se ce ne sono di quelli che da decenni si arricchiscono alle spalle del debito pubblico. In tal caso bisognerà fare un conto di quanto hanno incassato per stabilire se non sia arrivato il momento di dire basta.
A meno che non si voglia affermare che la rendita è un diritto perpetuo, bisognerà pur stabilire quando cessa il diritto del creditore a pretendere un compenso dal debitore.
È urgente avviare una seria indagine popolare sulla formazione del debito per definire quale parte
è doveroso pagare perché utilizzato per il bene comune e quale parte, invece, abbiamo il diritto
di ripudiare perché illegittimo, ossia dovuto a frode, ruberie, corruzione, sprechi, opere inutili e
dannose, arricchimenti e regalie indebite a caste, banche, imprese.

Un’indagine che valuti anche il ruolo avuto dagli interessi e che esamini la lista dei creditori
per capire se ce ne sono di quelli che da decenni
si arricchiscono alle spalle del debito
pubblico. In tal caso bisognerà fare un conto
di quanto hanno incassato per stabilire se non
sia arrivato il momento di dire basta.

Il diritto di non farci strangolare dalla speculazione e di liberarci da un debito troppo pesante non ci esime dall’obbligo di rimettere in ordine i conti pubblici per liberarci più velocemente dal debito e non cadere mai più nella sua trappola.
Vie di risanamento dei conti pubblici
Riforma delle entrate
- Riquali ficazione della spesa
- Lotta all’evasione
- Riforma fi scale in senso fortemente progressivo
- Prelievo sugli alti patrimoni
- Seria tassazione delle rendite
- Lotta alla corruzione
- Lotta agli sprechi
- Forte riduzione delle spese militari
- Potenziamento della spesa sociale e sanitaria
- Investimenti in opere di pubblica utilità
- Sostegno alla conversione ecologica della produzione.

Riforma delle entrate
Sul piano delle entrate, prima di tutto bisogna lottare seriamente contro l’evasione fiscale e l’economia in nero che procura ogni anno un mancato incasso di oltre 120 miliardi di €. Inoltre bisogna ripristinare una seria politica fiscale di tipo progressivo come prescrive la Costituzione. Ossia applicare aliquote crescenti al crescere degli scaglioni di reddito.
Contemporaneamente bisogna reintrodurre una seria patrimoniale che colpisca la ricchezza accumulata oltre misura, sotto forma di beni mobili e immobili, depositi e titoli.
In questa prospettiva possono anche essere assunte iniziativedi debito forzoso a carico dei più ricchi in modo da riportare il debito pubblico in mani italiane.
Per risanare i conti pubblici bisogna agire sia sul piano delle entrate che delle uscite.
Revisione delle uscite
Sul piano delle uscite si impongono due grandi riforme: l’eliminazione degli sprechi e una diversa ripartizione delle spese.
Per quanto riguarda gli sprechi i due grandi imputati sono la corruzione e i privilegi a vantaggio di politici, alti funzionari e dirigenti di imprese pubbliche. Messi assieme ci procurano una perdita di oltre 50 miliardi all’anno.
Per quanto riguarda le spese dobbiamo disfarci di quelle inutili e dannose e potenziare quelle ad alta utilità sociale e ambientale.
Fra quelle da ridurre ci sono le spese per missioni militari, l’acquisto di armi a scopo offensivo, le opere faraoniche tipo TAV e ponte sullo stretto di Messina.
Fra quelle da aumentare, le spese per sanità, istruzione, previdenza, risanamento dei territori, potenziamento delle infrastrutture e delle economie locali, riconversione della produzione in un’ottica di sostenibilità.

Bibliografia minima
- Bruno Amoroso, Euro in bilico, Castelvecchi editore, 2011
- Andrea Baranes, Finanza per indignati, Ponte alle grazie, 2012
- Autori vari, Oltre l’austerità, e-book scaricabile dal sito di Micromega
- François Chesnais, Debiti illegittimi e diritto all’insolvenza, Derive approdi, 2011
- Paolo Ferrero, Pigs, Derive approdi, 2012
- Francesco Gesualdi, Facciamo da soli, Edizioni Altreconomia, 2012
- Damien Millet, Eric Toussaint, Debitocrazia, Edizioni Alegre, 2011
- Mario Pianta, Nove su dieci, Editori Laterza, 2012.

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