Piero Di Giorgi
Per la prima volta, la partecipazione dei siciliani al voto
del 28 ottobre, già sempre inferiore a quella del centro-nord, scende sotto la
soglia preoccupante del 50% e precisamente al 47,6, meno di un cittadino su
due.
Cosa vuol dire questo? Certo, vuol dire quello che hanno
sottolineato quasi tutti i giornali: la crisi della politica, in particolare la
crisi della rappresentanza, la frattura tra rappresentanti e rappresentati, tra
istituzioni e popolo, la rabbia della stragrande maggioranza degli italiani,
colpita e costretta a stringere la
cinghia dalla crisi, nel vedere i privilegi, le ruberie, le scandalose
retribuzioni, la corruzione, i cumuli d’incarichi delle poche migliaia di
satrapi che ruotano intorno alla politica. Ma, in Sicilia, c’è qualcosa di più.
I siciliani hanno sempre sopportato ingiustizie, privilegi passivamente, salvo
farsi illudere dai viceré di turno e qualche volta anche ribellarsi
violentemente. Inoltre, sono anche scarsamente politicizzati e, se gli italiani
sono in maggioranza moderati e spoliticizzati, i siciliani lo sono ancora di
più e facilmente soggetti al clientelismo, alle promesse, a legarsi ai
saprofiti di turno per ottenere qualche diritto come favore, trasformandosi da
cittadini a sudditi. Per questo in Sicilia ha vinto sempre la destra e l’ultimo
incantatore a cui si sono affidati è stato Berlusconi.
La delusione generata da Berlusconi non ha sospinto i
siciliani a votare lo schieramento di centro-sinistra. Neppure Grillo è
riuscito ad attrarli come nuovo messia e ad arginare l’astensionismo. I
siciliani, nella loro maggioranza, hanno preferito disertare le urne. Pertanto,
il successo di Grillo è dovuto più a un trasferimento di voto da parte di
cittadini delusi della sinistra che a un recupero di voti di potenziali
astenuti.
Detto questo, sembra fuori luogo l’ostentazione della
vittoria proclamata da Bersani. E’ vero che, per la prima volta dopo la
liberazione, diventa governatore un eletto del centro-sinistra ma sulle macerie
dei partiti. Il PD perde oltre 5 punti percentuali sulle elezioni del 2008, il
PDL, dilaniato, è in caduta libera con oltre 20 punti percentuali in meno; l’UDC
perde circa due punti; SEL, Italia dei valori, FLI non raggiungono il quorum.
A fronte di questo tsunami, s’impone una riflessione. I
siciliani potranno pure pensare, con l’astensionismo di massa, d’inviare un
messaggio di rifiuto, di rabbia, di repulsione ai partiti e ai professionisti
della politica. Questo può, tuttavia, avere un senso se da domani cominciano a
partecipare alla vita politica locale, a considerare la propria città la casa
comune, a non delegare i propri problemi e disagi ma a organizzarsi tutti
insieme, perché la politica non è una professione ma è un tempo che ciascuno di
noi dedica alla cosa pubblica, sottraendolo al proprio tempo libero e alla
propria famiglia. Se le cose vanno male come vanno, è perché si considera la
politica una sfera estranea a noi e che necessariamente spetti farla agli
altri. Ma se continuiamo ad avere questo
atteggiamento e per di più non andiamo a votare quelle poche volte che possiamo
decidere, lasceremo che siano gli altri a decidere per noi. Non solo, se astensioni
di queste dimensioni dovessero generalizzarsi e ripetere, sarebbero sempre più
pochi a decidere. A tal punto, coloro realmente tengono in mano le leve del
potere potrebbero decidere, dopo un po’
di tempo, che non è più il caso di fare le elezioni visto che sono in pochi a
votare. Ma, a quel punto, non potrete più nemmeno protestare perché ci saranno i
miliziani dietro la porta che vi porteranno in galera. Come dicono i francesi A bon entendeur peu des mots (a buon
intenditore poche parole).
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