mercoledì 4 luglio 2012

Il ragionere Monti e la spending review

L'attuale crisi internazionale, che ormai si trascina da 4 anni, ha fatto emergere l'evidenza che ci troviamo di fronte a una crisi strutturale e sistemica e che occorre ripensare il modello di sviluppo.


In particolare, per quanto riguarda l'Italia, si sono manifestate gravi carenze strutturali ed endemiche (ritardi nell'adeguamento tecnologico del sistema produttivo, l'aggravarsi del debito pubblico, terzo nel mondo per entità, i freni della burocrazia, le oscene disuguaglianze tra lavoratori dipendenti e manager, passate mediamente da 1 a 30 a 1 a 300, evasione fiscale e corruzione, disoccupazione a livelli preoccupanti, soprattutto, quella giovanile) tali da postulare con urgenza la necessità di un riconfigurazione generale di sistema e una grande rigenerazione morale.

Il governo Monti e il suo c. d. governo dei tecnici, sorto in condizioni emergenziali e con il sostegno della strana alleanza, avrebbe avuto l'opportunità di imprimere una svolta per sanare l'Italia dai suoi mali antichi e dare una sterzata profonda. Ma, paralizzato dalla sua ideologia classista e neoliberista e probabilmente da carenza di studi umanistici, senza i quali si resta prigionieri di un'arida economia fatta di statistiche e numeri, dimenticando che dietro di essi vi sono persone di carne e di sangue, ha eluso il compito straordinario di cui è investito, riducendolo a una modesta prassi ragionieristica, che pensa a fare quadrare i conti, evitando accuratamente d'intervenire sui privilegi, sugli sprechi e tartassando sempre i lavoratori dipendenti pubblici e privati e i pensionati, attraverso tassazione, tagliando servizi e spesa sociale (sanità, scuola e ricerca, che dovrebbero essere i motori primi della ripresa).

In corso d'opera, il governo tecnico ha ritenuto di dovere nominare dei supertecnici, con il compito di revisionare la spesa pubblica. Ma anche i supertecnici hanno proseguito sulla stessa strada (licenziamenti nel pubblico impiego, anziché razionalizzazione e snellimento e semplificazione della prassi burocratica, tagli di posti-letto negli ospedali, del fondo sanitario nazionale e all'università, aumentando, di contra, i contributi alle scuole non statali. Tagli anche alle regioni, le quali tanto si rifanno aumentando l'addizionale regionale IRPEF ai soliti noti, anziché vietare le assunzioni clientelari, facendo pagare di persona i politici che le fanno, come nel caso della Sicilia, in cui il presidente Lombardo, prima di lasciare il campo, ha assunto altri 100 dirigenti.

In definitiva, l'Italia l'Italia è in recessione di circa il 2%, aumenta la disoccupazione, in particolare quella giovanile è al 36%, l'evasione è stata soltanto scalfita ma resta altissima, lo stesso dicasi del sistema di corruttela. Non si toccano gli stipendi e le pensioni scandalose, non si eliminano gli enti inutili e i relativi consigli di amministrazione con lauti e inammissibili compensi,non si riduce il debito pubblico. Evasione e corruzione ammontano a circa 200 miliardi, che in 10 anni riporterebbe a zero il debito pubblico. Se si volesse davvero colpire l'evasione, si dovrebbe approntare una grande riforma fiscale nella direzione della redistribuzione del reddito, come previsto dall'art. 53 della costituzione. Si introdurrebbe la galera per evasori e corrotti e corruttori. In tal modo, oltre ad azzerare il debito pubblico, si potrebbe riportare la pressione fiscale a livello della media europea, aumentando il reddito degli onesti, in particolare dei lavoratori a reddito fisso e pensionati, rimettendo in moto l'economia.

La situazione è arrivata a un punto tale e il disagio è così diffuso che soltanto una vasta mobilitazione di massa può costringere le oligarchie politiche, economiche, mediatiche, obnubilate dai loro scandalosi privilegi, ad abbandonare l'arroganza, il disprezzo e l'insensibilità verso il disagio della gran massa dei cittadini. E' ora di dire basta, non ne possiamo più.

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