lunedì 12 settembre 2011

“L’obbedienza non è più una virtù. Ribellarsi è giusto”

Piero di giorgi

Uno spettro si aggira per il mondo, lo spettro della crisi del capitalismo globale. Una vera debacle per i suoi teorizzatori e per i suoi seguaci.
La crisi, per anni è stata negata da Silvio Berlusconi e dai suoi scherani e, quando, finalmente, qualche mese fa è stata ammessa, il rimedio è stato peggiore del male. Abbiamo assistito alla farsa drammatica (mi si passi l’ossimoro) di una manovra, cambiata più volte in pochi giorni, che ci ha esposto al pubblico ludibrio del mondo. Già il termine stesso dà l’idea di una manovra del conducente d’auto (marcia avanti, marcia indietro, a destra, a sinistra), di tentativi, di compromessi costanti e di mediazione tra interessi e privilegi diversi, con l’unico obiettivo alla fine di far pagare la crisi sempre ai soliti ceti medio bassi, lavoratori dipendenti e pensionati, che già devono fare acrobazie per sopravvivere. Una manovra, tra l‘altro, che va in direzione opposta alla ripresa dell’economia, che anzi la deprime ulteriormente. Il che non era difficile da capire. Lo sanno anche gli studenti del primo anno di diritto o di economia che se non si stimola la domanda, aumentando la capacità di spesa, l’economia langue. Il problema delle aziende è la scarsità della domanda perché i portafogli del popolo sono vuoti. Se si abbassano le tasse e si tagliano i contributi ai lavoratori dipendenti e ai pensionati, aumenta la capacità di spesa e quindi la domanda di beni. Eppure, il livore classista di questo governo, la cui faccia emblematica è quella del ministro Sacconi (ex socialista), continua a persistere con misure che colpiscono sempre i più deboli, esasperando ancora di più le insopportabili disuguaglianze sociali, che hanno raggiunto livelli prima mai esistiti.
La crisi ha messo in luce con maggiore evidenza, se ancora ce ne fosse bisogno, la mediocrità della classe dirigente, anche a livello europeo, ma in particolare del nostro Paese, la cui cordata di governo, d’altronde e come è noto, è stata arruolata, in buona parte, non già per competenze e professionalità bensì per affinità elettive con il premier nell’ambito dei piaceri e degli affari, nonché per spiccate doti di gregarismo.
Dalla mediocrità non è esente tutta l’opposizione, compreso il PD, che non manifesta alcun progetto alternativo concreto e visibile e in cui la selezione della nuova classe dirigente avviene alla rovescia, premiando i porta-borse, burocrati di partito e i più disinvolti. Non risalta neppure la classe dirigente imprenditoriale, avida soltanto di profitti, non in grado di farsi carico di iniziative forti in direzione del bene comune e incapace perfino di protestare a fronte dell’inanità del governo. Soltanto ieri la Marcecaglia è arrivata a dire che se il governo non è capace di avviare la ripresa se ne deve andare. Più di venti miliardi di Euro, ogni anno, vanno alle aziende private e provengono dalle tasse che pagano i lavoratori dipendenti e i pensionati, un vero e proprio trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale, come dimostra con documenti alla mano un recente libro edito da Chiarelettere.
Le disuguaglianze hanno toccato livelli mai raggiunti prima, con una forbice che, se negli anni settanta era da uno a trenta, ora è da uno a trecento. Se prima una famiglia monoreddito riusciva a pagare il canone di locazione della casa e a soddisfare i bisogni essenziali, ora siamo in presenza di una condizione di irrazionalità tale per cui pagare la pigione costa più della retribuzione media di un lavoratore dipendente. I redditi fissi, quelli di coloro che pagano le tasse alla fonte, sono stati dimezzati dalle speculazioni avvenute nel passaggio dalla lira all’euro, mai controllate; né alcuna forza politica o alcun sindacato né alcun singolo parlamentare hanno alzato un dito per porre il problema di adeguarli; anzi continuano a essere sempre più erosi dall’inflazione e dalle varie addizionali imposte dagli enti locali. I bisogni dei più deboli non sono più difesi da nessuno. Siamo arrivati a un punto di assurdità tale per cui l’unico sindacato, la CGIL, che, di tanto in tanto, proclama uno sciopero, viene criminalizzato dalla destra e criticato dall’opposizione di centro e da settori della c. d. sinistra. Tra questi ultimi si distingue il giovane rampante sindaco di Firenze, il quale, nel mentre vuole “rottamare”i vecchi dirigenti per farsi spazio, crogiolandosi nei suoi privilegi della politica, mostra di essere indifferente alla condizione dei suoi coetanei che vivono nel precariato o con lo spettro della disoccupazione.
Si avverte in giro un senso di frustrazione diffusa, di rabbia e d’impotenza. Ci s’interroga sul che fare a fronte del fatto che le organizzazioni storiche sorte per organizzare il disagio siano latitanti.
Penso che la gravità della situazione (rischio default con tutte le conseguenze sulle retribuzioni e sulle pensioni) sia tale che, in mancanza di una rappresentanza, sorge l’urgenza di autorappresentarci. Ci sono stati nel corso di questi ultimi anni grandi movimenti di donne come quelle che si sono organizzate con lo slogan “se non ora quando”, movimenti di giovani delle scuole e delle università, di disoccupati e precari, di ricercatori e insegnanti, movimenti spontanei ed eterogenei come il “popolo viola”. Non è più il tempo di comparse episodiche per poi sparire, occorre una mobilitazione permanente di tutti per portare in piazza il disagio, chiedendo un nuovo modello di sviluppo e una più equa ridistribuzione della ricchezza, che è l’unico modo serio e strutturale per uscire dalla crisi.

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